Un articolo apparso su Repubblica – partendo dai risultati di una ricerca svolta negli Stati Uniti – ha messo in discussione l’utilizzo dei pellet, accusati di inquinare molto più dei combustibili fossili. L’articolo apparso su Repubblica è stato criticato da il Dolomiti che – nell’ambito dell’iniziativa L’AltraMontagna – ha pubblicato un intervento di Luigi Torreggiani secondo cui i risultati della ricerca svolta negli USA non possano essere automaticamente traslati alla realtà europea anche perché i dati possono cambiare notevolmente a seconda delle condizioni locali. A mio avviso, questa affermazione non centra la sostanza del problema. Non ci sono dubbi sul fatto che – come messo in evidenza dalla pubblicazione apparsa negli Stati Uniti – tutti gli impianti che producono energia partendo da biomasse (non solo bruciando pellet) producano rilevanti emissioni sia di gas inquinanti che di particolato. Nel caso dei pellet va aggiunto il carico di emissioni provocato dal loro processo di preparazione. Ovviamente il risultato finale dipende dalla qualità degli impianti di combustione e dai sistemi utilizzati per abbatterne le emissioni, ma il problema c’è. I biocombustibili non emettono gas climalteranti, ma possono essere molto dannosi per l’ambiente.
Il titolo di un articolo apparso recentemente su Repubblica “Il pellet inquina quasi 3 volte più di carbone e petrolio” avrà fatto sobbalzare sulla sedia più di un lettore convinto che il suo impianto di riscaldamento domestico a pellet fosse amico dell’ambiente. L’intervento di Repubblica è stato ispirato da una pubblicazione apparsa recentemente su Renewable Energy nella quale si analizzano le emissioni che – negli Stati Uniti – vengono provocate dagli impianti che producono energia (termica e/o elettrica) partendo da combustibili di origine biologica (principalmente legno o altri prodotti di origine vegetale, ma in qualche caso anche scarti di origine animale). Si tratta quindi di uno studio ad ampio spettro che va ben oltre il caso specifico degli impianti di combustione alimentati a pellet.
Facendo una analisi complessiva di tutti i diversi tipi di impianti energetici alimentati da biomasse, gli Autori concludono che – a parità di energia prodotta – le emissioni inquinanti rilasciate da tali impianti sono pari a circa 2,8 volte la media delle emissioni di impianti energetici alimentati da combustibili fossili. Parliamo principalmente di NOx, VOC (composti organici volatili), CO, NH3, SO2 e di particolato di dimensioni inferiori a 2,5 micron.
Il risultato di questo lavoro non né nuovo, né sorprendente: bruciare biomasse è senz’altro utile per ridurre l’emissione di gas climalteranti (purché si ripiantino gli alberi tagliati!), ma può produrre grossi problemi per l’inquinamento dell’aria. Un rapporto ENEA del 2017 sosteneva: “I vantaggi degli incentivi all’uso di biomassa dal lato delle ridotte emissioni di CO2 si contrappongono agli effetti avversi sulla qualità dell’aria per le maggiori emissioni di particolato (PM), ossidi di azoto (NOx), ed altri inquinanti. I risultati evidenziano alcuni rischi ambientali nell’utilizzo di queste fonti in impianti di piccola taglia privi di adeguati sistemi di abbattimento del particolato, soprattutto in alcune aree sensibili del territorio nazionale“.
La soluzione ottimale non è certamente quella di continuare ad usare i vecchi combustibili fossili, ma non dobbiamo illuderci che qualsiasi soluzione “bio” sia comunque e sempre migliore.
Tutti possiamo renderci conto dell’entità del problema. Basta fare due passi in qualsiasi ridente paesino di montagna quando – durante certe giornate – il fumo delle stufe a legna ristagna sulle abitazioni rendendo l’aria irrespirabile. In molti casi la situazione è peggiorata dall’utilizzo di stufe vecchie e poco efficienti o dalla cattiva abitudine di bruciare qualsiasi cosa che sia combustibile.
Se ci pensiamo bene c’è un razionale dietro a questa osservazione. I combustibili come il legno ed i suoi derivati sono costituiti da una varietà di molecole organiche molto più complesse rispetto a quelle contenute nei combustibili fossili. Se il processo di combustione non è completo, c’è il rischio che nei fumi di scarico vadano a finire molecole organiche volatili o piccole particelle (particolato). Tali componenti si aggiungono alle molecole semplici prodotte dalla reazione dell’azoto e dell’ossigeno dell’aria tra loro (ossidi di azoto) e con alcune impurezze presenti nel combustibile (ad esempio gli ossidi di zolfo).
Il vero elemento di novità del recente studio svolto negli Stati Uniti è stato quello di considerare oltre alle emissioni che avvengono in fase di combustione anche le emissioni inquinanti generate durante la produzione dei pellet. Apparentemente i pellet sono un combustibile meno inquinante rispetto alla comune legna da ardere, ma se consideriamo tutta la catena che va dalla produzione fino alla combustione finale le differenze non sono così significative.
Le analisi precedenti che avevano dimostrato che le emissioni inquinanti generate da una stufa a pellet sono decisamente superiori rispetto a quelle di una caldaia a metano non tenevano conto dell’inquinamento generato durante la produzione dei pellet. Alla luce di quanto pubblicato recentemente il confronto diventa ancora più svantaggioso per le stufe a pellet. Ovviamente il risultato si ribalta completamente se – invece delle emissioni inquinanti – si consideriamo le emissioni di gas climalteranti.
Un’ultima osservazione (che riprende la già citata conclusione del rapporto ENEA) andrebbe fatta rispetto alla dimensione degli impianti utilizzati per la produzione di energia. Il problema delle emissioni inquinanti può essere circoscritto ricorrendo ad opportuni sistemi di ottimizzazione del processo di combustione e di trattamento dei fumi. Tali dispositivi sono troppo costosi per essere installati su vasta scala nei piccoli impianti per uso individuale, ma possono essere più facilmente gestiti quando si ha a che fare con impianti di grandi dimensioni.
Spingere verso impianti più grandi, in grado di integrare fonti di energia diverse e complementari, magari sfruttando le opportunità offerte dalle nuove Comunità energetiche potrebbe essere la scelta vincente. In questo ambito anche i pellet potrebbero trovare una loro collocazione ottimale, specialmente se fossero prodotti nell’ambito di una filiera industriale “corta” che eviti – come facciamo oggi – di importarli da Paesi molto lontani da noi.
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