Un articolo pubblicato recentemente discute un nuovo metodo per la produzione di biocarburanti usando come materia prima il legno di pioppo. La novità rispetto alle tecnologie utilizzate fino ad oggi consiste in un pre-trattamento del legno che consente di separare le principali componenti di cui sono costituite le cellule vegetali. A breve sarà costruito un impianto pilota per verificare la possibilità di produrre – a prezzi competitivi – un biocarburante adatto per uso avionico.
L’aviazione è responsabile di una quota significativa delle emissioni climalteranti ed è anche uno dei settori di più difficile decarbonizzazione. Attualmente sono in fase di sviluppo diversi progetti per velivoli dotati di motori elettrici e si è pensato anche di utilizzare l’idrogeno come combustibile avionico, ma si tratta di tecnologie ancora immature, non prive di elevati livelli di rischio.
Al momento sarebbe già un enorme successo se riuscissimo a sostituire gli attuali carburanti avionici di origine fossile utilizzando carburanti “sostenibili“, i cosiddetti SAF. Attualmente sono in corso numerose sperimentazioni per la produzione di carburanti avio di sintesi (partendo dall’anidride carbonica), ma si tratta di soluzioni energivore e poco efficienti. Gli unici carburanti avio sostenibili di cui oggi disponiamo sono i biocarburanti, ottenuti dalla raffinazione di prodotti di origine vegetale. Purtroppo il prezzo attuale dei biocarburanti per uso avionico è pari a circa 5 volte quello degli analoghi prodotti di origine fossile.
Alcune compagnie aeree hanno già iniziato a mescolare nei loro carburanti tradizionali una piccola quantità di SAF, ma si tratta di azioni puramente dimostrative volte ad attirare una fascia di clientela attenta ai temi climatici. Attualmente la quota di SAF copre solo lo 0,2% dei consumi totali. Se non è puro greewashing, poco ci manca!
Per ridurre il costo eccessivo dei SAF bisogna lavorare sulla scelta della materia prima. Le bioraffinerie che utilizzano mais, soia, oli vegetali, zucchero di canna o altri prodotti normalmente utilizzati per l’alimentazione scontano un prezzo elevato della materia prima, senza contare i danni che una elevata produzione di SAF provocherebbe a causa delle vaste estensioni di terreno e delle ingenti quantità d’acqua che verrebbero sottratte alla loro destinazione alimentare. In un mondo dove le bocche da sfamare continuano a crescere, cambiare la destinazione d’uso di prodotti alimentari per farne SAF non è una buona idea (con buona pace del nostro ministro Pichetto Frattin sostenitore entusiasta ed acritico di questo tipo di biocarburanti).
Gli oli alimentari esausti (residui di frittura) potrebbero servire come una materia prima molto più economica, ma non ce n’è abbastanza per soddisfare le esigenze produttive.
Una materia prima abbondante ed a costo decisamente inferiore si potrebbe trovare utilizzando altri prodotti vegetali non edibili. Un materiale particolarmente interessante è costituito dal legno di pioppo, un albero ampiamente presente nelle foreste naturali di molte parti del mondo e che viene coltivato per la produzione della carta, ma trova ampie applicazioni anche nella filiera del legno. In Italia la pioppicoltura ha avuto il suo momento di massimo fulgore nella seconda metà del secolo scorso, ma nel corso delle ultime decadi c’è stato un forte calo della produzione.
Il problema da superare quando si producono biocarburanti partendo da legno o da scarti di produzioni alimentari (ad esempio gli stocchi del mais) è quello della grande presenza di lignina, una componente fondamentale di alcuni tipi di cellule vegetali la cui presenza interferisce con il processo di estrazione della cellulosa e delle altre componenti che possono essere trasformate in prodotti organici di interesse industriale.
L’approccio tradizionale consiste nel bollire a lungo il materiale legnoso in un ambiente acido. Alla fine del processo la lignina viene separata e successivamente può essere bruciata per produrre calore. L’idea chiave del sistema che è stato sviluppato da un gruppo di ricerca statunitense è quella di effettuare un trattamento preliminare del materiale legnoso (indicato con l’acronimo CELF che sta a significare “Co-solvent Enhanced Lignocellulosic Fractionation“) in un ambiente contenente – tra l’altro – uno speciale prodotto chimico detto THF (tetraidrofurano, un composto che può essere prodotto partendo da zuccheri vegetali). L’azione del THF scompone il materiale legnoso che viene separato così come mostrato nella figura seguente:
A differenza di quanto avviene in un comune impianto di produzione di biogas alimentato da prodotti di origine vegetale, il processo sviluppato dai ricercatori americani consente di separare i diversi componenti generati dalla decomposizione della materia prima, ottenendo prodotti chimici ad elevata purezza e di elevato valore aggiunto.
Le stime (per il momento solo teoriche) dei costi di produzione di un combustibile per uso avionico basato su questo metodo mostrano che i prezzi potrebbero essere competitivi, specialmente se si usa il legno di pioppo che – rispetto ad altri prodotti di origine vegetale – assicura un rendimento migliore.
Per sapere se i conti sono giusti dovremo attendere ancora un po’ perché i ricercatori che hanno sviluppato l’innovativo pre-trattamento CELF hanno recentemente ricevuto un finanziamento governativo proprio per costruire un impianto di produzione pilota nel quale sarà verificata la fattibilità – su scala industriale – del loro progetto.
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