Quando i politici si improvvisano scienziati

Lo scorso 1° aprile il sen. Claudio Borghi ha pubblicato un tweet nel quale sostiene che durante l’ultimo inverno i ghiacci artici si siano estesi su livelli prossimi a quelli medi del periodo 1981-2010, lasciando intendere che quella del progressivo scioglimento dei ghiacciai sia una bufala messa in giro da scienziati catastrofisti. Secondo il sen. Borghi “il problema è più complesso“. Vediamo perché il sen. Borghi sbaglia.

Oggi il premier Meloni – intervenendo ad un convegno – ha dichiarato: “la scienza affronti gli interrogativi con la politica“. Personalmente trovo l’espressione ambigua e preoccupante. I problemi scientifici non hanno una soluzione politica. Semmai alla politica sono affidate le scelte da adottare per affrontare le sfide che la Natura ci pone, ma quando si tratta di arrivare al consenso scientifico è decisamente meglio che i politici (ed i teologi) non interferiscano.

Più che con la politica, direi che gli scienziati dovrebbero misurarsi con l’etica, anche perché la politica – per sua natura – è talvolta disposta a sostenere tutto ed il contrario di tutto pur di guadagnare qualche voto in più.

In particolare, mi preoccupano quei politici che – pur non avendo alcuna preparazione specifica – intervengono su temi scientifici ispirandosi a preconcetti ideologici. Tale atteggiamento è particolarmente pericoloso quando i politici si atteggiano a scienziati, commentando articoli scientifici o presentando dati sperimentali interpretandoli a modo loro.

Il sen. Claudio Borghi non è nuovo a certe sparate e recentemente ci ha deliziato con un tweet pubblicato lo scorso 1° aprile nel quale sostiene che – durante lo scorso inverno – l’estensione dei ghiacci artici sarebbe tornata a livelli “vicini” rispetto a quelli della fine del secolo scorso. Da qui la conclusione che quella dello scioglimento dei ghiacciai sarebbe una questione più complessa di quanto ritenuto dai sostenitori del riscaldamento globale.

Il tweet del sen. Borghi riporta un grafico ripreso dal National Snow & Ice Data Center dell’Università di Boulder (USA)

L’intervento del sen. Borghi è stato ampiamente discusso da Il Dolomiti che ne ha dimostrato l’infondatezza, classificandolo correttamente come “un pesce d’aprile“.

Se – invece di commentare (interpretandola in modo sbagliato) una sola immagine – il sen. Borghi avesse letto l’intero documento pubblicato dal National Snow & Ice Data Center dell’Università di Boulder avrebbe trovato anche i seguenti dati:

Andamento dell’estensione media dei ghiacci artici dal 1979 fino ad oggi, misurata durante il mese di marzo (crediti: National Snow & Ice Data Center dell’Università di Boulder (USA))

Si vede chiaramente che l’estensione media dei ghiacciai artici (misurata nel mese di marzo di anni diversi) è soggetta a forti fluttuazioni annuali, ma la tendenza di fondo degli ultimi 3 decenni è molto chiara: dal 1980 ad oggi – ogni 10 anni – abbiamo perso mediamente circa il 2,4% dell’estensione totale. Sostenere che nel 2024 siamo tornati al livello degli anni ’80 è semplicemente falso.

Il 2,4% ogni 10 anni può sembrare poco ed è certamente inferiore al ritmo di scomparsa di molti ghiacciai alpini, ma il volume d’acqua messo in gioco è incommensurabilmente più ampio a causa dell’estensione complessiva delle calotte polari. L’enorme quantità d’acqua che viene liberata produce diversi effetti, ma il più eclatante è certamente quello legato all’innalzamento (al netto delle fluttuazioni che avvengono su base stagionale) del livello medio degli oceani. Il grafico seguente – pubblicato dalla NASA – mostra l’andamento del fenomeno in tutta la sua preoccupante progressività:

Crescita del livello medio dei mari dal 1993 fino ad oggi ed estrapolazione fino al 2040. Aldilà delle fluttuazioni dovute all’andamento stagionale, si nota una chiara tendenza all’aumento del livello medio che è legato al progressivo scioglimento dei ghiacciai (crediti: NASA-JPL/Caltech)

Per completezza, ricordo che la crescita del livello dei mari non dipende solo dal progressivo scioglimento delle calotte polari, ma anche dalla dilatazione termica dell’acqua degli oceani (anch’essa legata all’aumento delle temperature globali medie). Va comunque ricordato che il contributo legato alla dilatazione termica non è sufficiente – da solo – per spiegare i dati rilevati dai satelliti della NASA. Se non ci fosse anche un progressivo scioglimento delle calotte polari la crescita del livello medio dei mari sarebbe circa la metà rispetto al valore osservato. Con buona pace dei negazionisti, sempre pronti a negare l’evidenza.

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