I risultati di uno studio pubblicato recentemente su Nature dimostrano che è possibile riciclare contemporaneamente acciaio e cemento trattando i rottami ferrosi ed il calcestruzzo in forni elettrici. In pratica il calcestruzzo sostituisce il materiale calcareo che solitamente è impiegato per il trattamento dei rottami di ferro, lasciando come residuo un materiale che può essere utilizzato per produrre nuovo cemento. In tal modo si ottiene una sostanziale riduzione dei consumi energetici e delle emissioni di CO2. Si prevede che entro pochi anni il sistema possa trovare applicazione su larga scala a livello industriale.
Annualmente a livello mondiale si producono circa 4 miliardi di tonnellate di cemento. Il processo utilizzato (chiamato in inglese “clinkering“) parte da calcare e altre materie prime che vengono frantumate e riscaldate in grandi forni fino alla temperatura di circa 1.450°C. La produzione di cemento è un processo fortemente energivoro ed è responsabile – a livello globale – di circa il 7,5% del totale delle emissioni di anidride carbonica di origine antropica.
Il cemento viene mescolato con sabbia, ghiaia e acqua per produrre calcestruzzo, materiale che ha un vastissimo impiego a livello costruttivo. Da molto tempo si stanno studiando metodi in grado di ridurre l’impronta climatica del calcestruzzo (legata essenzialmente alla produzione del cemento) cercando – in primo luogo – composizioni di tale materiale che – pur garantendo adeguati livelli prestazionali – facciano uso di una minore percentuale di cemento.
Una possibile alternativa è quella di realizzare efficaci processi di riciclo del cemento producendolo a partire dal calcestruzzo proveniente dalla demolizione di vecchie costruzioni. Purtroppo – almeno fino a qualche tempo fa – ciò non è stato effettivamente possibile.
Una ricerca fatta da un gruppo britannico, apparsa recentemente su Nature apre la strada verso quella che potrebbe rivelarsi una vera e propria rivoluzione nel riciclo del cemento. L’idea di base è quella di combinare tale processo con il riciclo dell’acciaio, modificando la metodologia comunemente usata per trattare i rottami di ferro.
Attualmente il ferro di recupero viene trattato nei cosiddetti forni elettrici ad arco, dove i rottami metallici vengono fusi assieme ad una miscela di calce e dolomia. Il prodotto finale è acciaio rigenerato ed una scoria che deve essere smaltita in discarica. La scoperta importante è che se – al posto del calcare – si usa calcestruzzo frantumato, si ottiene come prodotto finale non solo l’acciaio, ma anche un buon materiale che – con l’aggiunta di argilla calcinata -può essere utilizzato per produrre un cemento di ottima qualità.
I vantaggi di questo nuovo metodo sono molteplici. Si riduce drasticamente l’utilizzo di minerali vergini provenienti da cava e non si producono più scorie che devono essere smaltite in discarica. In termini energetici i risparmi sono notevoli perché la quantità di energia utilizzata non è molto diversa rispetto a quella impiegata per il riciclo dell’acciaio fatta utilizzando la “ricetta” tradizionale. L’unico limite (solo estetico) è che il cemento ottenuto con questo nuovo metodo è ricco di ossidi di ferro che gli danno una particolare colorazione, ma non ne alterano le proprietà strutturali.
Secondo il gruppo di ricerca che ha sviluppato questa nuova metodologia, entro pochi anni almeno 1/4 della produzione mondiale di cemento potrebbe essere ricavata attraverso il ciclo di recupero del calcestruzzo combinato con quello dell’acciaio. Se i forni elettrici fossero alimentati con energia prodotta da fonti rinnovabili, la riduzione delle emissioni di anidride carbonica sarebbe ancora più consistente.
Questo studio ci mostra come un uso intelligente del riciclo e l’integrazione tra processi diversi possa produrre consistenti risparmi economici che si sommano a sostanziali benefici climatici ed ambientali. Mi sembra un bel caso “win-win” da contrapporre ad un certo tipo di propaganda che tende a presentare lo sviluppo di metodi industriali sostenibili come qualcosa di necessariamente oneroso dal punto di vista economico.
In futuro, chi continuerà a produrre cemento alla “vecchia maniera” rischia di trovarsi fuori mercato, soprattutto se non potrà più disporre di forniture di energie fossili a prezzo stracciato. Nel nostro piccolo Trentino abbiamo una acciaieria a forni elettrici localizzata nella bassa Valsugana ed un cementificio nella Valle del Sarca. Ambedue gli impianti sono stati (e sono ancora oggi) fonte di grosse preoccupazioni a causa del loro forte impatto dal punto di vista ambientale, climatico e paesaggistico. Mi rendo conto di essere un po’ utopista, ma se invece di tenerci 2 impianti tradizionali (se non addirittura obsoleti) puntassimo su un impianto di nuova generazione che combini i 2 processi potremmo davvero sviluppare qualcosa di interessante, specialmente se il nuovo impianto potesse disporre di una adeguata fornitura di energie rinnovabili.
Chiusa la parentesi locale, concludo ribadendo che anche i processi industriali più impattanti possono subire importanti miglioramenti se sono sostenuti da una ricerca di alta qualità. Non ci sono “ricette miracolose“, ma con costanza ed impegno è sempre possibile trovare nuove soluzioni che ci aiutino – passo dopo passo – ad affrontare la sfida del riscaldamento globale.
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