Cattura e sequestro dell’anidride carbonica: una concreta speranza o una falsa promessa?

Un articolo apparso su Nature Climate Change analizza lo sviluppo degli impianti di cattura e sequestro della CO2 (in inglese Carbon Capture and Storage CCS) e valuta l’impatto che tali tecnologie potranno avere per mitigare la crescita delle temperature medie globali nel corso di questo secolo. Difficilmente si riuscirà ad installare impianti capaci di catturare – da oggi fino alla fine del secolo – almeno 1.000 Gt di CO2 come sarebbe necessario (assieme ad un poderoso aumento delle fonti di energia rinnovabile) per raggiungere gli obiettivi climatici dell’accordo di Parigi.

Spesso la lobby dei combustibili fossili presenta le tecnologie CCS come una soluzione “facile” che consentirebbe di rimandare sine die la transizione energetica, continuando ad utilizzare le sorgenti di energia fossile con un ritmo sostanzialmente analogo rispetto a quello adottato nel corso degli ultimi 2 decenni. Si tratta di una affermazione falsa perché le tecnologie CCS presentano diversi limiti che ne riducono l’efficacia, soprattutto in taluni contesti.

Realisticamente, le tecniche CCS pur non potendo risolvere – da sole – il problema della eccessiva presenza di CO2 nell’atmosfera terrestre possono comunque contribuire a mitigare i danni provocati dai combustibili fossili. Anche ammettendo che si possa realizzare una rapida transizione verso le energie rinnovabili, non è possibile pensare di abbandonare dall’oggi al domani l’uso di carbone, gas naturale e petrolio. Secondo le stime correnti, se si vogliono raggiungere gli obiettivi climatici fissati dagli accordi di Parigi sarebbe necessario installare – a livello mondiale – impianti CCS in grado di catturare – a partire da oggi e fino alla fine del secolo – almeno 1.000 Gt (miliardi di tonnellate) di anidride carbonica (attualmente – ogni anno – emettiamo nell’atmosfera circa 26 Gt di CO2 di origine antropica).

Un articolo apparso su su Nature Climate Change fa il punto sullo stato di avanzamento degli impianti di tipo CCS a livello mondiale. I risultati di questa analisi non sono incoraggianti. Difficilmente si riuscirà a superare il limite di 600 Gt di anidride carbonica catturata complessivamente nel corso di questo secolo.

Attualmente gli impianti CCS realmente funzionanti sono pochissimi e solo il 10% dei progetti annunciati nel corse degli ultimi anni è stato effettivamente realizzato. Ci sono diversi limiti legati al trattamento delle fonti di CO2 ed al costo (anche energetico) di costruzione e di gestione degli impianti. I sistemi CCS funzionano abbastanza bene quando hanno a che fare con emissioni concentrate e quando il sito geologico di stoccaggio è posto a distanza non troppo grande rispetto al punto di cattura.

L’efficienza dei sistemi CCS crolla drasticamente quando abbiamo a che fare con sorgenti non localizzate (ad esempio quelle legate ai mezzi di trasporto). In tal caso, invece di catturare l’anidride carbonica “alla fonte” bisognerà prelevarla dall’aria dove è presente in concentrazioni in assoluto basse (ma più che sufficienti per causare i danni climatici che ben conosciamo).

Mediamente ci vogliono 5 anni tra l’inizio della progettazione e la messa in funzione di un impianto CCS. Spesso le aziende legate alle energie di origine fossile hanno sbandierato l’idea degli impianti CCS come una sorta di diversivo per salvaguardare i loro lauti guadagni, ma si sono ben guardate dall’investire veramente in tali tecnologie.

Di fronte a questo atteggiamento ambiguo delle lobby dei combustibili fossili si contrappone la posizione “radicale” dei movimenti che chiedono rapidi interventi contro il riscaldamento globale e diffidano delle tecnologie CCS considerandole una forma di puro greenwashing.

Un atteggiamento equilibrato dovrebbe prevedere un approccio complessivo fortemente orientato verso il passaggio alle energie rinnovabili (specialmente quando i combustibili fossili provocano emissioni di anidride carbonica diffuse sul territorio come nel caso dei trasporti) e un adeguato sviluppo dei sistemi CCS soprattutto quando si ha a che fare con impianti industriali che hanno poche o nulle alternative rispetto all’utilizzo dei combustibili fossili.

Non sarà facile raggiungere questo obiettivo anche perché le tecnologie CCS sono ben lungi dall’essere ottimizzate e richiederanno significativi investimenti anche a livello di ricerca e sviluppo.

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