Oggi è stata una giornataccia per Stellantis che – dopo aver annunciato una drastica revisione al ribasso delle sue previsioni finanziarie – ha subito un pesante crollo borsistico. Le cose non vanno meglio per i giganti dell’auto tedesca che stanno perdendo colpi a vista d’occhio. I produttori d’auto europei stanno attraversando un lunga crisi innescata dallo scandalo del Dieselgate e resa più acuta dalla dimostrata incapacità di affrontare la rivoluzione tecnologica dell’auto elettrica. Di fronte a tale situazione l’unica risposta europea sembra essere quella dei dazi che potranno rallentare l’avanzata dei produttori cinesi, ma difficilmente serviranno per far tornare i costruttori automobilistici europei all’antico splendore.
Ormai da alcuni anni i produttori automobilistici europei stanno attraversando un periodo di grave crisi. Tutto è iniziato con lo scandalo del Dieselgate che ha segnato una sorta di spartiacque rispetto al passato. Chi si era illuso di nascondere i limiti della tecnologia diesel truccando i dati sulle emissioni inquinanti si è ritrovato con un pugno di mosche. Lo scandalo ha innescato un rapido calo del mercato dei motori diesel mettendo in crisi i produttori che avevano puntato su tale tecnologia. Il colpo di grazia – almeno in Italia – glielo potrebbe dare il Governo dell’on. Meloni (sì proprio quella che in campagna elettorale prometteva di eliminare le accise sui carburanti) che nella prossima Legge Finanziaria probabilmente aumenterà le accise sul diesel (la versione ufficiale sarebbe quella di eliminare i sussidi “ambientalmente dannosi“, ma in realtà si tratta di un aumento delle tasse motivato dalla difficoltà di far quadrare i bilanci pubblici).
L’altro fattore che condiziona il futuro dei produttori europei è legato ai ritardi accumulati nella transizione verso la motorizzazione elettrica. Aldilà dei fattori climatici, le auto elettriche hanno due vantaggi essenziali: riducono drasticamente le emissioni inquinanti che affliggono le nostre città e sono le uniche tecnologicamente compatibili con i sistemi di guida autonoma che attualmente sono ancora in fase di sviluppo, ma che tra pochi anni troveranno un’ampia diffusione.
Oggi parliamo molto di intelligenza artificiale e anche i sistemi di guida autonoma rientrano tra queste tecnologie. Secondo alcuni analisti, entro una decina d’anni il valore aggiunto delle auto sarà collegato per quasi il 50% al software installato a bordo. I costruttori europei non sono solo in ritardo rispetto alla costruzione delle batterie, ma hanno anche gravi carenze per quanto riguarda il software necessario per gestire in modo ottimale i veicoli elettrici. Per non parlare dei sistemi di guida autonoma su cui sono praticamente assenti.
Le case europee hanno giustificato la loro resistenza rispetto alle auto elettriche mettendo in evidenza i loro costi elevati. In realtà si tratta di un fattore solo temporaneo. Come dimostrano le auto cinesi a basso prezzo che ormai sono disponibili commercialmente (dazi permettendo!) i costi delle auto elettriche sono destinati a scendere rapidamente al disotto di quelle dotate di motori a combustione interna. Senza parlare dei costi di manutenzione che – per l’auto elettrica – sono decisamente inferiori rispetto alle auto “tradizionali“.
A causa dello stretto legame con le vecchie tecnologie, le principali case automobilistiche europee hanno rinunciato ad investire seriamente nella transizione verso l’auto elettrica. I singoli Governi europei e la stessa Unione hanno capito con grave ritardo la necessità di dotarsi di adeguati canali di approvvigionamento per i materiali strategici necessari per sostenere la transizione energetica e non hanno investito a sufficienza nella ricerca scientifica.
Il risultato di tali scelte è sotto gli occhi di tutti: oggi la Cina ha il sostanziale controllo dei mercati mondiali del litio, delle terre rare e di altri materiali strategici. Se osserviamo la letteratura più recente notiamo che ormai le università cinesi producono gran parte delle pubblicazioni scientifiche che riguardano la transizione energetica. Una analoga situazione si osserva per quanto riguarda il deposito dei brevetti.
L’ultimo fattore che ha messo in crisi i costruttori europei è legato all’aumento dei costi dell’energia e – in generale – all’inflazione che è stata innescata dall’aggressione russa dell’Ucraina. Contemporaneamente sono crollate le esportazioni verso la Cina che – fino a qualche anno fa – era un importante acquirente di auto a combustione interna, soprattutto di lusso.
La strategia adottata dai costruttori europei non è – a mio avviso – delle migliori. Da una parte c’è l’illusione di bloccare l’arrivo delle auto cinesi imponendo pesanti dazi alle importazioni. Aldilà dei danni che l’Europa dovrà scontare a causa dei dazi che la Cina imporrà per ritorsione sulle merci europee non si è mai visto che i dazi possano colmare un ritardo che è essenzialmente legato ai mancati investimenti nella ricerca e nella messa a punto di adeguati canali di approvvigionamento dei materiali strategici.
Se osserviamo le attuali offerte commerciali sembra che i produttori europei abbiano di fatto rinunciato a competere con Tesla e con i produttori cinesi sul fronte dei veicoli elettrici e si propongano di soddisfare il mercato grazie a modelli ibridi (magari plug-in). Personalmente (ma non sono certamente il solo) sostengo che i modelli ibridi abbiano poco senso perché costano troppo (hanno un doppio motore) e sono complicati anche dal punto di vista della manutenzione.
In conclusione, i ritardi delle case automobilistiche europee non provocano solo danni al pianeta, ma mettono a rischio un settore industriale che fino ad oggi ha fornito una quota importante del PIL europeo. L’approccio “sovranista” basato su misure protezionistiche rischia di accelerare la crisi dell’auto europea marginalizzando i nostri produttori a livello mondiale.
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