De profundis per il settore automobilistico italiano (e anche per quello europeo!)

Si accavallano le notizie negative sul futuro dell’industria automobilistica europea. Persa la gara tecnologica con la Cina, l’Europa alza pesanti barriere doganali, innescando una guerra dei dazi che farà molto male ai Paesi che basano le loro economie sulle esportazioni (a partire da Germania e Italia). Intanto in Germania viene per la prima volta violato il tabù della crescita infinita ed il principale produttore automobilistico tedesco si accinge a chiudere ben 3 fabbriche. L’Italia con i conti in rosso toglie i 4 miliardi e mezzo di Euro (eredità del Governo Draghi) che sarebbero dovuti servire per sostenere il mercato dell’auto per spostarli verso le spese militari.

Come riportato dalle agenzie di stampa, oggi la Commissione europea ha deciso di procedere con i dazi aggiuntivi (fino al 35,3% del valore) che – a partire dal prossimo 31 ottobre – saranno imposti sulle auto elettriche di provenienza cinese. Malgrado la flebile opposizione di coloro che sottolineano l’inadeguatezza e le controindicazioni di una politica basata sui dazi, la decisione è stata ormai presa e sarà pubblicata ufficialmente domani.

Mi aspetto che la Cina reagirà imponendo dazi aggiuntivi sulle merci europee e questi potrebbero penalizzare pesantemente le esportazioni italiane (specialmente nel settore agroalimentare e nei beni di lusso). Con il probabile arrivo alla Casa Bianca di una vecchia conoscenza che sbandiera la sua intenzione di “make America great again” imponendo dazi a tutti (a cominciare dall’Europa) rischiamo di entrare in una spirale di guerre commerciali dove l’Italia potrebbe fare la fine del vaso di coccio tra i vasi di ferro.

Intanto in Germania Volkswagen ha annunciato l’intenzione di chiudere ben 3 fabbriche, riducendo fortemente le spese per il personale. Si tratta di un vero shock per i cittadini tedeschi che erano convinti che la produzione di auto fosse una fonte inesauribile di ricchezza. Ma il problema si pone anche per molte aziende del Nord Italia che agiscono come fornitrici di componentistica, soprattutto per le auto tedesche di lusso.

Se guardiamo al quadro nazionale, la situazione è davvero sconfortante. Stellantis perde colpi a vista d’occhio e sembra non avere più alcun interesse per le produzioni made in Italy. La maggior parte degli stabilimenti automobilistici italiani rischia di fare la fine del Lingotto di Torino, trasformandosi in ruderi industriali.

Il ministro Adolfo Urso continua a parlare di “produrre in Italia almeno 1 milione di vetture all’anno“, ma sono chiacchiere a vuoto perché Stellantis è in fuga, mentre qualsiasi altro produttore straniero prima di avviare una produzione in Italia chiederà di sapere quanti siano gli incentivi finanziari disponibili.

La risposta esatta è “pressoché zero!”. Infatti il fondo a disposizione per il settore automobilistico che era rimasto come retaggio del Governo Draghi è stato di fatto svuotato dalla Legge finanziaria che sarà discussa tra breve in Parlamento. Sono rimasti solo 200 milioni di Euro, mentre quasi 4 miliardi e mezzo sono stati dirottati per aumentare le spese militari. Invece di sostenere le poche aziende ancora attive nel settore auto, li useremo per comprare dagli USA qualche batteria di missili antiaerei. Così va il mondo!

Questo scenario desolante avrà un pesante impatto sulla transizione energetica e sulla capacità del nostro Paese di effettuare investimenti atti a mitigare il problema del riscaldamento globale. Gli italiani invece di passare all’auto elettrica si terranno le vecchie auto dotate di motore a combustione interna. Il nostro parco auto diventerà sempre più vecchio aumentando i problemi di inquinamento ambientale e continuando ed emettere grandi quantità di anidride carbonica.

In realtà stiamo scontando errori che si sono stratificati nel tempo. Le industrie automobilistiche italiane (e anche quelle europee) non hanno investito a sufficienza nelle tecnologie per la transizione energetica. La situazione italiana è resa ancora più pesante a causa della ingombrante presenza di ENI vero e proprio dominus delle politiche energetiche del nostro Paese. Il Ceo di ENI continua a millantare improbabili soluzioni basate sui biocarburanti ed i ministri del Governo seguono pedissequamente le sue indicazioni cianciando di “neutralità tecnologica“. Sentendoli parlare si intuisce che ripetono slogan elaborati da altri e di cui non hanno capito un gran ché.

Per fortuna ci sono i giovani che una soluzione a modo loro l’hanno individuata. Basta vedere i dati sugli esami della patente fatti dai neo-diciottenni. Quello che una volta era una sorta di must è diventato qualcosa di meno urgente. Prendere la patente di guida e soprattutto acquistare un’auto non sembra essere una priorità per le giovani generazioni che sono più interessate ad affittare un mezzo di trasporto solo quando serve effettivamente e preferiscono muoversi con i trasporti pubblici. Questo cambio di atteggiamento potrebbe dare il colpo di grazia al già debole mercato automobilistico europeo, ma produrrà senz’altro benefici notevoli dal punto di vista climatico e ambientale.

Qualcuno potrebbe pensare allo scenario che ho appena descritto come una sorta di apocalisse per l’economia europea. In realtà sarà solo una trasformazione, così come ne sono avvenute tante nel passato e come continueranno ad accadere nel futuro. Forse il mondo dell’auto – così come lo conosciamo – è solo un dinosauro in via di estinzione.

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