Con 12 anni di ritardo rispetto ai tempi di progetto e con una spesa pari a 13 miliardi di Euro (circa 4 volte la stima di costo iniziale), entra finalmente in funzione il primo reattore nucleare di terza generazione costruito in Francia (ed uno dei pochi funzionanti al mondo). Proprio in questi giorni è stato effettuato il collegamento del nuovo impianto alla rete francese di distribuzione dell’energia elettrica e sono state avviate le prime prove di funzionamento.
La notizia del primo avvio della centrale di Flamanville risale allo scorso 21 dicembre. Si dovrà completare una fase di avvio che potrebbe durare poco meno di 1 anno, ma il più ormai è fatto. Si tratta comunque di un progetto che presenta seri limiti dal punto di vista della concreta possibilità di essere replicato, soprattutto a causa dei costi di costruzione che si sono rivelati eccessivi. Il dibattito sulla utilità delle centrali di grandi dimensioni di terza generazione è aperto.
La centrale nucleare di Flamanville è stata per moltissimi anni al centro del dibattito sul futuro della energia nucleare. Il progetto fu avviato 17 anni fa con l’obiettivo di costruire un impianto di terza generazione ovvero tale da poter disporre di sistemi di sicurezza di altissimo livello ed in grado di intervenire automaticamente in caso di malfunzionamento, senza bisogno di interventi esterni di alcun tipo. I principali disastri nucleari registrati negli Stati Uniti, nell’Unione Sovietica ed in Giappone nel corso dell’ultimo mezzo secolo sono tutti collegati a specifici errori umani oppure a carenze registrate all’esterno dell’impianto. Il caso di Fukushima Dai-ichi (2011) fu emblematico: l’impianto resistette al terremoto e non fu direttamente attaccato dalla successiva onda di tsunami, ma andò fuori controllo a causa della messa fuori uso – a causa dello tsunami – del gruppo elettrogeno esterno che doveva generare l’energia elettrica necessaria per alimentare i sistemi di sicurezza della centrale nucleare.
Le centrali di terza generazione, oltre ad essere protette da eventi esterni catastrofici (terremoti oppure un attacco aereo sul modello “torri gemelle“), sono dotate di sistemi di sicurezza intrinseci e passivi, tali cioè da spegnare la centrale in caso di malfunzionamento, mettendola in sicurezza senza bisogno di interventi esterni di alcun tipo. In altre parole non servono interventi umani o la fornitura di energia da fonti esterne.
Gli impianti nucleari di terza generazione operanti al mondo oggi si contano sulle dita di una mano. Si tratta di una tecnologia completamente nuova e – come dimostra il caso della centrale francese di Flamanville (di potenza pari ad 1,6 GW) – particolarmente costosa, almeno nel caso degli impianti di grande dimensione.
I reattori di piccole medie dimensioni (SMR) di cui oggi sentiamo spesso parlare dovrebbero essere impianti di terza generazione dotati di potenza decisamente inferiore (si parla di un massimo di 0.3 GW). La speranza – ancora tutta da verificare – è che si possano raggiungere caratteristiche di terza generazione (lo ripeto: sicurezza intrinseca passiva) con costi di produzione decisamente inferiori (considerando ovviamente il costo per GW di potenza).
Il trucco è quello di realizzare impianti di tipo modulare che – grazie alle dimensioni relativamente contenuti – possano essere realizzati in serie in apposite officine industriali e poi possano essere consegnati agli utilizzatori pronti per funzionare. Al momento, nessuno può dire se tale strada sia effettivamente percorribile o se – come nel caso degli impianti più grandi del tipo Flamanville – anche la tecnologia SMR si rivelerà più costosa ed impegnativa rispetto a quanto ritenuto inizialmente.
L’unica cosa certa è che gli SMR – a parità di energia erogata – produrranno una quantità di scorie radioattive più grande rispetto agli impianti di grandi dimensioni.
In conclusione, anche se qualche sprovveduto inneggerà all’avvio di Flamanville come una pietra miliare per il rilancio dell’energia nucleare, il quadro reale è ancora incerto. Se si vuole fare propaganda fine a sé stessa si possono lanciare slogan ad effetto, ma la strada per l’effettivo rilancio dell’energia nucleare è ancora lunga (e non la si percorre – come si fa in Italia – solo con le chiacchiere).
Lascia un commento