Visioni: bisognerebbe imparare a fare quello che fanno le piante

Più di 100 anni fa Giacomo Ciamician metteva in guardia l’umanità dai rischi di uno sviluppo economico basato sui combustibili fossili e proponeva di sviluppare processi di sintesi che usassero la luce solare, così come accade nella sintesi clorofilliana. Oggi il suo sogno è ancora irrealizzato, ma – forse – ci sono novità in arrivo.

Ogni anno i processi di fotosintesi clorofilliana trasformano oltre 100 miliardi di tonnellate di carbonio atmosferico in biomasse, assorbendo una quantità di energia solare che è pari ad almeno 6 volte la somma di tutta l’energia consumata dagli esseri umani.

In essenza, il processo di fotosintesi clorofilliana produce 1 molecola di glucosio (C6H12O6) e 6 molecole di ossigeno, partendo da 6 molecole di anidride carbonica e 6 di acqua. Questo risultato si ottiene attraverso una serie di passaggi piuttosto complicati che sono resi possibili grazie all’energia fornita dall’assorbimento della radiazione solare.

Circa 110 anni fa, il grande chimico Giacomo Luigi Ciamician, scrisse un articolo che, letto con gli occhi di oggi, appare profetico:

The Photochemistry of the Future”, Science (1912), 36, 385 – 394

L’articolo – che era stato preceduto da una affollata conferenza tenuta dal prof. Ciamician a New York – metteva in evidenza i limiti legati all’utilizzo dei combustibili fossili (e quindi destinati prima o poi ad esaurirsi) e proponeva di sviluppare tecnologie industriali in grado di emulare su larga scala i processi della fotosintesi clorofilliana. In tal modo sarebbe stato possibile produrre combustibili ed altre preziose materie prime in modo completamente rinnovabile.

Giacomo Luigi Ciamician nacque a Trieste nel 1857 da una famiglia appartenente alla comunità armena. Studiò chimica a Vienna e Gießen (Germania), prima di trasferirsi in Italia dove ebbe una brillante carriera accademica. Oggi è universalmente ricordato come uno dei padri fondatori della fotochimica (quell’area della chimica che studia gli effetti prodotti sulle reazioni chimiche dalla interazione tra luce e materia).

Il Dipartimento di Chimica dell’Università di Bologna porta il suo nome. A Bologna fu professore dal 1889 fino al 1922, anno della sua morte.

C’è da notare che nel 1912 nessuno si poneva il problema del riscaldamento globale. Anche il tema dell’inquinamento ambientale, pur essendo già particolarmente intenso in taluni contesti locali, non attirava una particolare attenzione tra l’opinione pubblica. Ma già allora Ciamician aveva capito che i combustibili fossili non erano la soluzione ottimale per il futuro e che sarebbe stato meglio sviluppare alternative credibili ispirandosi ai processi che avvengono in natura.

Oggi, ad oltre 100 anni dalla pubblicazione del fondamentale lavoro del prof. Ciamician, purtroppo dobbiamo constatare che molte delle sue idee non si sono ancora realizzate. Ci sono state molte promesse e molti annunci, ma le ricadute pratiche non le abbiamo ancora viste.

L’anno scorso è apparso sul sito di SPIE (Society of Photo-optical Instrumentation Engineers)un editoriale dal titolo “Will artificial photosynthesis ever see the light of day?” (tradotto in italiano, “la fotosintesi artificiale vedrà mai la luce?”). Nell’articolo – scritto da Bob Whitby – viene fatto il punto sullo sviluppo delle tecnologie atte a produrre combustibili sfruttando la radiazione solare. In particolare, viene analizzata la storia recente dei sistemi dedicati alla produzione diretta di idrogeno partendo dall’acqua (escludendo quindi il doppio passaggio che prevede la produzione di energia elettrica tramite pannelli fotovoltaici e l’utilizzo successivo di un elettrolizzatore).

Malgrado gli ingenti investimenti fatti, i risultati sono stati molto deludenti. In generale, i dispositivi che sono stati proposti hanno un’efficienza troppo limitata, utilizzano materiali troppo costosi (come ad esempio il platino) e sono talvolta soggetti ad un rapido degrado che limita il loro tempo utile di funzionamento ad una manciata di ore.

A detta di molti esperti, anche se bisogna ancora trovare una soluzione per molti difficili problemi, ci sono ragioni per un cauto ottimismo e non dovremmo essere distanti dal momento in cui sarà finalmente annunciata qualche scoperta di rilievo. Le speranze per il futuro sono legate, in particolare, allo sviluppo di una nuova generazione di foto-catalizzatori che, sfruttando le conoscenze più recenti sul controllo – a livello atomico – dei materiali, promettono di aumentare sensibilmente sia l’efficienza che la durata nel tempo delle tecnologie foto-chimiche.

A titolo di esempio, cito un lavoro apparso recentemente su Nature Materials nel quale si presentano i risultati ottenuti per il processo di foto-trasformazione del metano (CH4) in metanolo (CH3-OH). Questa reazione è molto importante perché il metanolo è utilizzato come precursore per un grande numero di prodotti chimici. Purtroppo le tecnologie attualmente in uso sono particolarmente energivore e richiedono che la trasformazione avvenga ad alta pressione e ad alta temperatura. Inoltre sono tecnologie adatte solo per impianti di grandi dimensioni, non scalabili a dimensioni medio-piccole.

La proposta che arriva da un team di ricercatori internazionali guidati da un gruppo dell’Università di Manchester prevede che un flusso continuo di acqua satura di metano e ossigeno passi attraverso un nuovo tipo di foto-catalizzatore appartenente alla famiglia dei cosiddetti MOF (Metal-Organic Framework) che viene illuminato con luce visibile. Il foto-catalizzatore è poroso e – analogamente a quanto avviene in una foglia verde – è caratterizzato dalla presenza di diversi componenti che hanno ciascuno un ruolo specifico nell’assorbimento della luce, nel trasferimento di elettroni e nell’attivazione e nell’unione di metano e ossigeno.

Una visione artistica del processo di conversione di metano in metanolo tramite un foto-catalizzatore di tipo MOF (Crediti: immagine ORNL/Jill Hemman)

Secondo gli Autori, oltre a garantire una resa soddisfacente, il processo avviene a temperatura e pressione ambiente ed il foto-catalizzatore non è sottoposto a rapidi processi di degrado. Il processo è selettivo al 100% e quindi non produce prodotti secondari che richiederebbero una ulteriore fase di purificazione del metanolo.

I risultati ottenuti – se confermati su scala industriale – rappresenterebbero una pietra miliare nella storia della fotochimica.

Il condizionale è d’obbligo perché non è la prima volta che vengono annunciati nuovi processi per la produzione del metanolo che, alla prova dei fatti, si rivelano molto meno efficienti di quanto inizialmente sperato. Ma se questa fosse la volta buona, forse il sogno del prof. Ciamician potrebbe finalmente trasformarsi in realtà.


B. An, Z. Li, Z. Wang et al. “Direct photo-oxidation of methane to methanol over a mono-iron hydroxyl site”, Nat. Mater. (2022) DOI: 10.1038/s41563-022-01279-1

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