Abolire i jet privati: una questione di rilievo climatico oppure è solo invidia sociale?

Quello di eliminare i voli dei jet privati è uno dei cavalli di battaglia dei movimenti per il clima (e di alcuni partiti politici che tentano di cavalcare la loro protesta). La quantità di anidride carbonica emessa dai jet privati per passeggero trasportato e per chilometro percorso è nettamente superiore rispetto a quella dei voli di linea. C’è però chi sostiene che l’ostilità verso i jet privati sia solo una forma di invidia sociale.

Nel 2007 apparve un manifesto dal titolo “Anche i ricchi piangano“. Il manifesto mostrava la foto di un lussuoso panfilo e prometteva una dura azione per colpire con tasse più alte le fasce più benestanti della popolazione italiana. Il manifesto generò molte polemiche anche perché la produzione di imbarcazioni di lusso è uno dei punti di forza della cantieristica italiana. Chi si illudeva di tassare i ricchi colpendo i loro yacht ottenne come risultato concreto un crollo degli acquisti di nuove imbarcazioni e la fuga delle imbarcazioni di lusso dai porti italiani. Questo provocò gravi perdite economiche per molti settori economici italiani e non produsse alcun effetto pratico sul patrimonio degli italiani più ricchi.

Questo episodio di 15 anni fa mi è tornato in mente leggendo un articolo apparso su Repubblica che mi è stato segnalato da un affezionato lettore di questo blog. L’articolo fa il punto sulla questione dei jet privati e delle loro esorbitanti emissioni di anidride carbonica. Usati dai “ricchi e famosi” come una sorta di taxi dei cieli, i jet privati volano per una parte consistente del loro tempo completamente vuoti o trasportando un numero esiguo di passeggeri.

Le loro emissioni, normalizzate per numero di passeggeri trasportati e per chilometri percorsi, sono approssimativamente 10 volte più alte rispetto a quelle dei voli di linea. Molti hanno proposto di attivare forti azioni di contrasto a tali attività, arrivando fino al suggerimento di vietarne l’uso.

Ricordo – per completezza di informazione – che spesso i jet privati sono utilizzati per trasporti di estrema urgenza quando non è possibile attendere la disponibilità di un volo di linea. Tipici esempi sono quello del trasporto di organi destinati al trapianto oppure il ritorno a casa di persone che abbiano contratto gravi malattie o subito severi incidenti durante un viaggio all’estero. I voli privati vengono talvolta usati quando si devono trasportare persone che – per motivi di sicurezza – renderebbero problematico l’utilizzo di un comune aereo di linea.

Ci sono però anche numerosi abusi, fatti talvolta da personaggi che con discutibile leggerezza usano tali mezzi solo per fare uno stupido sfoggio della loro ricchezza, magari pubblicizzando il tutto in tempo reale sui social media.

In casi come questi è sempre difficile capire dove finisca l’indignazione per lo scempio ambientale e climatico e dove inizi la pura e semplice invidia (potremmo chiamarla anche odio) sociale.

Proprio per evitare di cadere nella trappola delle provocazioni e delle reazioni viscerali o puramente ideologiche credo sia importante capire quali siano esattamente i termini della questione. Partiamo dal dato relativo alle emissioni di gas serra in Europa, considerando in particolare il contributo alle emissioni legate ai mezzi di trasporto. Lo spostamento di cose e persone genera circa il 28,5% delle emissioni complessive di gas serra prodotte dai Paesi dell’Unione Europea. Il contributo percentuale dei diversi mezzi di trasporto è indicato nella figura seguente:

Contributo alle emissioni di gas serra europee dovuto ai mezzi di trasporto

Vediamo subito che il contributo complessivo del trasporto aereo alle emissioni di gas serra legate ai trasporti è inferiore al 14% del totale (più o meno simile a quello delle navi e degli altri mezzi di navigazione). Il contributo decisamente più importante è quello dei trasporti su strada (72% circa del totale) con le auto che fanno la parte del leone (60% circa delle emissioni legate ai trasporti su strada).

Non sappiamo quale sia il contributo specifico dei jet privati nell’ambito delle emissioni complessive dovute all’aviazione civile, ma tenuto conto del che ogni anno i voli aerei in Europa trasportano oltre 1 miliardo di passeggeri non mi aspetto che la percentuale di emissioni specificamente ascrivibile ai jet privati sia particolarmente elevata. In altre parole, se anche riducessimo il numero di voli privati allo stretto indispensabile, i benefici sul clima non sarebbero particolarmente rilevanti.

Mi rendo conto del fatto che la mia osservazione potrebbe essere intesa come una forma di “benaltrismo“, ma quando dedichiamo tempo per affrontare un problema è sempre bene sapere se stiamo facendo solo una battaglia di principio, oppure se la nostra azione può produrre risultati con un certo impatto pratico.

L’abuso dei jet privati è tipico di una minoranza di ricchi e idioti che si credono superiori agli altri e non si preoccupano del bene comune. Ciò premesso, credo che avrebbe molto senso aumentare in modo sostanziale le tasse che gravano sui voli non essenziali dei jet privati, secondo il seguente principio perequativo “se proprio vuoi rovinare l’ambiente ed il clima almeno devi pagare i danni che provochi“.

Stando ovviamente bene attenti a non farsi fregare dai soliti “stati canaglia” sempre pronti a fare da sponda a chi intende eludere le tasse. Ricordo che ufficialmente in Italia sono registrati solo 133 jet privati e già oggi molti degli aerei privati che volano nei nostri cieli appartengono a società basate in paradisi fiscali esteri.

Dopo non essere riusciti a far piangere i ricchi colpendo le loro imbarcazioni di lusso, cerchiamo di non ripetere lo stesso errore con i loro jet privati.

Risposte a “Abolire i jet privati: una questione di rilievo climatico oppure è solo invidia sociale?”

  1. Avatar Da Il Dolomiti
    Da Il Dolomiti

    I nuovi idoli sono maestri di valori incoerenti: gli influencer, da Ferragni a Biasi, in elicottero sui ghiacciai morenti per un selfie o un brindisi

    In quest’estate torrida e siccitosa Chiara Ferragni, Chiara Biasi e un’altra manciata di “influentissimi” sono atterrati in elicottero nei pressi di un ghiacciaio svizzero. Dopo aver stappato una bottiglia di champagne e scattato qualche fotografia sono decollati nuovamente tra fragore e anidride carbonica. Forse è arrivato il momento di riconsiderare i nostri idoli

    Pietro Lacasella – 03 settembre 2022

    TRENTO. Il culto degli idoli non è, come alcuni ritengono, sfumato nel tempo. Al contrario è un fenomeno ancora radicato se non addirittura in espansione nella società odierna. 

    Emblema di un sistema di valori, l’idolo ha la capacità di orientare l’immaginario collettivo, di condizionare i nostri comportamenti, di influenzare le nostre scelte.

    Non è quindi un caso che gli idoli odierni siano spesso rappresentati da quelli che abbiamo imparato a riconoscere come “influencer”.

    Alcuni idoli contemporanei, forse per disinteresse o forse per convenienza, hanno deciso di continuare a trasmettere un sistema di valori il più delle volte incoerente con le esigenze sociali del nostro tempo. 

    E così, in quest’estate torrida e siccitosa, non dobbiamo sorprenderci osservando Chiara Ferragni, Chiara Biasi e un’altra manciata di “influentissimi” atterrare in elicottero nei pressi di un ghiacciaio svizzero e stappare una bottiglia di champagne.

    Hanno scattato qualche fotografia e poi sono decollati nuovamente, lasciando nel cielo il fragore delle turbine e molta, moltissima, anidride carbonica, quel gas serra così antipatico proprio a quelle che un tempo venivano chiamate “nevi perenni”.

    I ghiacciai – ormai è noto da anni – si stanno ritirando soprattutto a causa dell’abuso di combustibili fossili, ma i nostri idoli, invece di promuovere un nuovo sistema etico, preferiscono mettersi la benda sugli occhi e continuare a camminare, felici, verso il baratro. 

    Nel farlo ci prendono per mano: così anche noi siamo sempre più vicini allo strapiombo, pervasi da quello stato di euforia che solo l’inconsapevolezza è in grado di offrire.

    Se non vogliamo precipitare, è forse arrivato il momento di riconsiderare i nostri idoli.

    1. Avatar Davide Bassi

      Da che mondo e mondo, gli idoli prima vengono messi sugli altari e poi – quando qualcosa va storto – vengono sistematicamente abbattuti. Succederà così anche per gli “influencer“? Francamente non ve lo saprei dire.

      Ma chi si illude di risolvere il problema climatico abbattendo qualche idolo, rischia di fare solo del moralismo.

      Personalmente non credo che la soluzione del riscaldamento globale sia quella di richiamare in servizio il Savonarola di turno. Bisogna spiegare a tutti quali sono i rischi che stiamo correndo (anche ai cosiddetti “influencer” che dimostrano di non avere capito nulla di ambiente e clima). Ci vorranno costanza e pazienza perché molti hanno difficoltà a seguire ragionamenti troppo complicati e tanti (troppi) preferiscono semplicemente ignorare le previsioni negative (c’è sempre qualcuno che rischia di svolgere il ruolo di Cassandra).

      Tuttavia sono convinto che la battaglia non sia perduta e che ci sia ancora spazio (sia pure limitato) per intervenire. Anche la crisi energetica che stiamo attraversando, pur con tutte le sue contraddizioni, può trasformarsi in una occasione utile per comprendere le difficoltà che ci aspettano e per intraprendere finalmente la giusta via verso una reale mitigazione del fenomeno del riscaldamento globale.

  2. Avatar Da Il Dolomiti
    Da Il Dolomiti

    Il Paris Saint Germain col jet privato e le risate di Mbappé all’idea di prendere il treno: c’è un 1% di popolazione che pesa per CO2 come il 50% dei più poveri e non c’è niente da ridere.

    Dal blog “CI SARÀ UN BEL CLIMA”

    Il mondo del calcio francese ieri è stato coinvolto in un’altra polemica. Non si tratta di scandali o di calciomercato, ma di emissioni di CO2. Durante la conferenza stampa del Paris-Saint-Germain, un giornalista chiede come mai la squadra sia arrivata a Nantes – da Parigi – su un volo privato. La distanza in treno tra Parigi e Nantes è di circa 2h30 ed è coperta dal TGV.

    “Ne avete parlato ai giocatori?” chiede l’inviato. Sguardo complice tra Mbappè e Galtier (allenatore) ed entrambi scoppiano in un “Fou rire“, una risata folle.

    Ricomposti, Galtier risponde che si aspettava la domanda e che l’agenzia che segue gli spostamenti del PSG sta pensando a come farli muovere in “char à voile“, un veicolo su ruote, alimentato solo dal vento, con una vela, usata per praticare sport sulle spiagge.

    Un sarcasmo ingiustificato pensando che la Francia arriva da un’estate infernale, con temperature che hanno raggiunto i 39°C in Bretagna e una siccità senza precedenti. 

    Sembra però che tutto il mondo sia paese. Mentre le fasce abbienti della società (siano essi calciatori, sportivi olimpionici, influencer o imprenditori) vivono ancora nell’abbondanza, il resto della società – noi – è già costretto a fare i conti con una crisi energetica senza precedenti. 

    Il fatto, arrivato poco dopo l’aperitivo in elicottero sul ghiacciaio da parte degli influencer nostrani capitanati da Chiara Ferragni, ci mette davanti a una questione finora tralasciata, ma che che dovremo risolvere nel prossimo futuro.

    Chi si deve sobbarcare i costi della transizione ecologica? A oggi vediamo che gli sforzi immani di una fetta – per quanto piccola – di popolazione sono vani davanti allo stile di vita di una piccola percentuale di super ricchi.

    Si stima infatti che l’1% della popolazione più ricca emetta tanta CO2 quanto il 50% più povero. Torniamo sempre alla questione del budget carbonico e di come spenderlo.

    Se vogliamo evitare la catastrofe climatica dobbiamo darci da fare tutti, ma alcuni un po’ di più (prendo in prestito una semi citazione di Orwell che calza a pennello). La fascia di popolazione più ricca è chiamata a fare uno sforzo maggiore rispetto a noi perché le sue emissioni pro capite sono estremamente superiori alle nostre e perché ha la possibilità economica di farlo. 

    Questo però si scontra con la classica narrazione che continuiamo a ripeterci: se sei riuscito in qualcosa (generalmente i soldi), sei giustificato in tutto. Forse nella speranza di riuscire anche noi un giorno a “farcela”.

    I limiti planetari ci impongono di avere un’altra visione dove ognuno deve contribuire secondo i propri sforzi a rimanere entro gli accordi internazionali sul clima. Questo passa anche per una redistribuzione delle quote di CO2 che ogni persona può emettere.

    Si tratta di voler cercare una soluzione globale che non si ripercuota – come sempre – solo sulle fasce già in difficoltà. Prima riusciremo a capirlo, prima potremo avviare una transizione ecologica ed energetica che sia equa in tutta la società. Gli elicotteri in montagna teniamoli solo per il soccorso alpino, che lì servono veramente.

    1. Avatar Davide Bassi

      Si stima infatti che l’1% della popolazione più ricca emetta tanta CO2 quanto il 50% più povero

      Ho verificato la fonte di questa affermazione e – in realtà – discute l’argomento in modo molto più articolato di quanto appaia nel commento precedente (che riprende un articolo pubblicato in un blog ospitato da Il Dolomiti).

      Tanto per capirci, l’1% della popolazione mondiale corrisponde a coloro che (nel 2030) avranno un reddito di almeno 170mila US$ all’anno. Non saranno solo calciatori o influencer milionari. Certamente benestanti, ma non necessariamente dei nababbi.

      Invito tutti a leggersi il report originale, osservando, in particolare, la Fig. 2.

      Si stima che nel 2030, la grande maggioranza delle emissioni sarà dovuta a quel 49% della popolazione mondiale che non sarà né troppo povera, né troppo ricca. In termini pratici parliamo di redditi compresi tra circa 10mila e 170mila US$/anno.

      Questo cosa vuol dire? Giusto prendersela con gli sprechi ed i comportamenti sbagliati di certi idoli di cartapesta. Ma i problemi climatici non si risolvono soltanto “facendo piangere i ricchi. Per quanto il comportamento individuale di molti super-ricchi sia riprovevole e susciti indignazione, il loro contributo complessivo alle emissioni globali è pari a circa il 15% del totale.

      Il 50% della popolazione mondiale nel 2030 avrà un reddito inferiore ai 10mila US$ annuali. Costoro saranno responsabili, complessivamente, di una quota di emissioni pari a circa il 7% del totale.

      Il rimanente 49% della popolazione mondiale (coloro che nel 2030 avranno un reddito annuale compreso tra 10mila e 170mila US$, saranno responsabili del 78% circa delle emissioni complessive). Solo se queste persone cambieranno la loro impronta climatica possiamo sperare di raggiungere risultati soddisfacenti rispetto alla mitigazione del riscaldamento globale.

      Il Savonarola di turno potrà illudersi di convincere le masse mettendo al rogo qualche grande peccatore. Io credo che i comportamenti sbagliati vadano stigmatizzati con le parole e fatti pagare profumatamente con tasse adeguate. Ma per avere successo bisogna che la “middle class” planetaria sia convinta che i problemi sono reali e che tutti devono dare il loro contributo per arrivare ad una soluzione.

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