Era successo dopo il crollo in Marmolada ed ora si ripete con l’alluvione avvenuta nelle Marche: subito dopo i disastri, sentiamo solenni proclami sulla necessità di agire immediatamente per mitigare gli effetti del riscaldamento globale, ma poi – quando bisogna agire – tutto procede come se niente fosse accaduto. Fino al prossimo disastro e alle prossime promesse.
Fatta la doverosa premessa che un singolo evento atmosferico, per quanto grave, non rappresenta di per sé la prova di una tendenza climatica di lungo periodo, non c’è dubbio che, nel corso degli ultimi anni, ci sia stata una crescita della frequenza dei disastri ambientali legati al riscaldamento globale.
Per invertire questa tendenza occorrerebbero interventi seri che potranno produrre risultati tangibili sono nel medio-lungo periodo. Quando si affrontano i problemi del riscaldamento globale c’è la certezza di dover fare fin da subito sacrifici e di dover investire grandi capitali che dovranno essere forzatamente sottratti ad altri usi. Tutto questo per evitare futuri eventi catastrofici, non sicuri al 100%.
Si spiega così la tentazione di non fare nulla, arrivando perfino a negare l’evidenza. Sperando (illudendosi) che gli eventi avversi avvengano altrove e non colpiscano noi.
Si innesca così un meccanismo perverso: quando succedono disastri naturali connessi al riscaldamento climatico i politici si danno un gran daffare per proclamare l’improcrastinabile necessità di agire, ma – passato il momento della paura e del dolore – si guardano bene dal sostenere qualsiasi progetto che non comporti un ritorno a breve in termini di consenso elettorale.
Non è facile uscire da questa situazione. In fondo i politici non sono altro che il “termometro” del pensiero di noi cittadini, incapaci di investire sul nostro futuro.
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