Disastri naturali e lacrime di coccodrillo

Era successo dopo il crollo in Marmolada ed ora si ripete con l’alluvione avvenuta nelle Marche: subito dopo i disastri, sentiamo solenni proclami sulla necessità di agire immediatamente per mitigare gli effetti del riscaldamento globale, ma poi – quando bisogna agire – tutto procede come se niente fosse accaduto. Fino al prossimo disastro e alle prossime promesse.

Fatta la doverosa premessa che un singolo evento atmosferico, per quanto grave, non rappresenta di per sé la prova di una tendenza climatica di lungo periodo, non c’è dubbio che, nel corso degli ultimi anni, ci sia stata una crescita della frequenza dei disastri ambientali legati al riscaldamento globale.

Per invertire questa tendenza occorrerebbero interventi seri che potranno produrre risultati tangibili sono nel medio-lungo periodo. Quando si affrontano i problemi del riscaldamento globale c’è la certezza di dover fare fin da subito sacrifici e di dover investire grandi capitali che dovranno essere forzatamente sottratti ad altri usi. Tutto questo per evitare futuri eventi catastrofici, non sicuri al 100%.

Si spiega così la tentazione di non fare nulla, arrivando perfino a negare l’evidenza. Sperando (illudendosi) che gli eventi avversi avvengano altrove e non colpiscano noi.

Si innesca così un meccanismo perverso: quando succedono disastri naturali connessi al riscaldamento climatico i politici si danno un gran daffare per proclamare l’improcrastinabile necessità di agire, ma – passato il momento della paura e del dolore – si guardano bene dal sostenere qualsiasi progetto che non comporti un ritorno a breve in termini di consenso elettorale.

Non è facile uscire da questa situazione. In fondo i politici non sono altro che il “termometro” del pensiero di noi cittadini, incapaci di investire sul nostro futuro.

Risposta a “Disastri naturali e lacrime di coccodrillo”

  1. Avatar Dal Fatto Quotidiano
    Dal Fatto Quotidiano

    Elisabetta Ambrosi, giornalista ambientale – 16 SETTEMBRE 2022

    Marche, non è maltempo: è una crisi climatica
    con precisi responsabili, tra cui lo Stato italiano

    Ammetto: ormai non provo quasi più dolore di fronte a notizie di uomini e donne morte per alluvioni, piogge estreme. Né mi fanno più impressione macchine travolte dall’acqua, paesi distrutti.

    Non provo dolore, perché la rabbia è più forte. E perché, al tempo stesso, tutto ciò di cui viene data notizia sui giornali era ampiamente previsto. Si trattava solo di sapere DOVE esattamente sarebbe successo.

    E’ tutto matematico, è tutto semplice, lo capirebbe anche un bambino: se le temperature estive sono state oltre la media anche di 8 gradi, se abbiamo avuto un’ondata di calore durata 2 mesi, se la temperatura dei nostri mari è salita in maniera esponenziale, ebbene tutto ciò vuol dire che c’era una energia in circolo in eccesso che prima o poi si sarebbe scaricata con violenza.

    D’altronde, all’alternanza tra mesi di caldo estremo e piogge che in mezza giornata scaricano l’acqua che un tempo si sarebbe avuta in sei mesi siamo abituati. Sono anni che accadono questi fenomeni.

    Eppure. Eppure se apri oggi i giornali, vedi che tutto questo si chiama ancora “maltempo”. Parola vuota che ormai non significa nulla e che soprattutto continua ad assegnare una sensazione di casualità a ciò che casuale non è.

    Perché è la conseguenza fisica dell’immissione di anidride carbonica in atmosferica e dunque, lo sanno anche i muri, ha a che fare con la crisi climatica, con l’emergenza climatica, che qualcuno comincia a chiamare anche direttamente ECO-CIDIO.

    […] Perché no, non è caduto un asteroide sulla terra. È successo quello che sta scritto su talmente tanti report scientifici che c’è tra chi, tra gli scienziati, vuole fare UNO SCIOPERO delle pubblicazioni sul clima e magari smettere di studiare e scendere in piazza. A questo siamo ridotti.

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