Un recente articolo apparso su il Sole 24 Ore include Dolomiti Energia tra le società energetiche che sarebbero a rischio di fallimento a causa dell’aumento dei prezzi di gas ed elettricità. La cosa appare paradossale considerato che Dolomiti Energia produce ogni anno quasi 4.000 GWh di energia per mezzo di impianti idroelettrici i cui costi di produzione sono stati solo marginalmente intaccati dalla crisi energetica.
Dolomiti Energia è un esempio lampante di come non si dovrebbe gestire una società pubblica. Avrebbe potuto svolgere un ruolo fondamentale per favorire la transizione energetica del Trentino e invece rischia di diventare un peso per le tasche dei contribuenti trentini.
Che le cose non andassero bene si sapeva da tempo. Il deficit mostrato dalla prima trimestrale del 2022 aveva evidenziato una situazione già piuttosto critica, decisamente peggiore rispetto a quella dei suoi concorrenti.
Le difficoltà di Dolomiti Energia hanno radici profonde e l’attuale crisi energetica non ha fatto altro che evidenziarle. Paghiamo la mancanza di visione di chi ha gestito la società, la carenza di investimenti per differenziare le fonti di energia e gli errori clamorosi fatti a livello finanziario, sottostimando la volatilità del mercato energetico.
Eppure – almeno in linea di principio – Dolomiti Energia dovrebbe essere tra le società che in questo momento stanno realizzando profitti straordinariamente elevati. La società gestisce numerosi impianti idroelettrici la cui produttività è stata certamente ridotta a causa della siccità, ma che non hanno risentito dell’aumento del prezzo del gas combustibile.
Potenzialmente, Dolomiti Energia potrebbe contribuire a trasformare il Trentino in un modello per la transizione energetica, favorendo l’integrazione tra diverse fonti di energia rinnovabile (in particolare solare ed idroelettrico) ed una espansione dell’elettrificazione delle utenze che ridurrebbe la dipendenza del Trentino dalle importazioni di gas (ad esempio, favorendo l’uso di sistemi ad induzione per la cottura dei cibi e l’installazione di pompe di calore per il riscaldamento domestico).
Per non parlare di quello che potrebbe fare nel settore del cosiddetto idrogeno “verde”, contribuendo ad alleviare l’annoso problema (sia ambientale che climatico) legato delle emissioni dei mezzi pesanti che si muovono nelle valli trentine (in particolare lungo la A22).
Dolomiti Energia non ha fatto nulla di tutto questo, limitandosi a gestire la sua posizione di ex-monopolista che le assicurava comunque un florido mercato, illudendosi che le cose sarebbero andate avanti senza particolari problemi. Purtroppo la crisi energetica ha evidenziato le criticità ed ora serve una forte iniziativa degli azionisti pubblici che – a mio avviso – dovrebbe partire da un azzeramento dei vertici societari.
Oggi la priorità è quella di evitare una crisi finanziaria, ma non bisogna rinunciare all’idea di utilizzare Dolomiti Energia come un attore fondamentale per favorire la transizione energetica del Trentino.
Sapendo che non sarà una passeggiata, ma avendo piena coscienza del ruolo “pilota” che il Trentino potrebbe svolgere anche in questo campo, sia a livello nazionale che europeo.
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