Le emissioni di gas serra di origine fossile costituiscono un problema globale, ma ci sono forti differenze tra i diversi Paesi. I livelli di reddito, il clima e, soprattutto, gli stili di vita incidono pesantemente sulla quantità di emissioni. Se andiamo a vedere il livello di emissioni pro-capite la mappa del mondo appare molto variegata e presenta alcune sorprese.
Il Joint Research Centre dell’Unione Europea ha da poco rilasciato il suo report aggiornato sullo stato delle emissioni mondiali di anidride carbonica generata dall’uso di combustibili fossili:
Crippa, M., Guizzardi, D., Banja, M., Solazzo, E., Muntean, M., Schaaf, E., Pagani, F., Monforti-Ferrario, F., Olivier, J., Quadrelli, R., Risquez Martin, A., Taghavi-Moharamli, P., Grassi, G., Rossi, S., Jacome Felix Oom, D., Branco, A., San-Miguel-Ayanz, J. and Vignati, E., “CO2 emissions of all world countries – 2022 Report“, EUR 31182 EN, Publications Office of the European Union, Luxembourg, 2022, doi:10.2760/730164, JRC130363
Il documento è molto completo e permette di fare un’analisi dettagliata delle tendenze in atto. Benché le azioni fin qui attuate dagli Stati europei non siano state ancora state sufficienti per raggiungere la necessaria neutralità carbonica, si nota che – nel corso degli ultimi 30 anni – l’Europa ha comunque fatto significativi progressi verso l’abbattimento delle emissioni di origine fossile. Purtroppo i miglioramenti registrati in Europa non sono bastati per invertire la tendenza globale che mostra ancora un forte aumento delle emissioni. Il dato è efficacemente sintetizzato nella figura seguente:
A parte il settore dei trasporti che ha fatto registrare un lieve aumento, in tutte le altre attività l’Unione Europa ha decisamente ridotto la sua impronta carbonica. A livello globale, il risultato complessivo è stato invece decisamente preoccupante. L’aumento delle emissioni è stato fortissimo per quasi tutte le principali attività economiche.
Il livello delle emissioni di Cina ed India è cresciuto moltissimo nel corso degli ultimi decenni ed attualmente – come valore assoluto – è tra i più alti al mondo:
Un forte aumento percentuale delle emissioni è stato registrato in numerosi Paesi che – a metà del secolo scorso – venivano definiti “in via di sviluppo“. Ad esempio, Il Vietnam è passato da circa 21 milioni di tonnellate di CO2 nel 1990 a circa 320 milioni di tonnellate di CO2 nel 2021 (più o meno lo stesso livello fatto registrare nel 2021 dall’Italia). Questo è l’effetto della “globalizzazione” che ha spostato molte attività produttive ad alto impatto climatico ed ambientale dai Paesi del ricco Occidente verso Cina, India ed altri Paesi asiatici.
Il dato delle emissioni complessive può essere fuorviante se non si considera anche quello relativo al numero di abitanti. Per approfondire questo argomento può essere utile osservare una mappa delle emissioni pro-capite elaborata da Il Sole 24 Ore partendo dai dati pubblicati dall’Unione Europea:
L’Italia con circa 5,4 tonnellate di CO2 emesse pro-capite annualmente si colloca ad un livello intermedio tra la media mondiale (4,81) e la media europea (6,25).
A livello mondiale, il record assoluto delle emissioni – circa 60 tonnellate annuali a testa – spetta a Palau, un arcipelago della Micronesia, situato ad est delle Filippine, che comprende qualche centinaio di isolette e meno di 20 mila abitanti. Il dato è sorprendente perché Palau è una specie di paradiso tropicale e molte delle sue isole non hanno neppure una popolazione stabile. In realtà, Palau è un territorio fortemente legato agli Stati Uniti, tanto da essere considerato come una delle possibili localizzazioni di una nuova grande base militare americana destinata a presidiare un’area del Pacifico di grande rilevanza strategica. Probabilmente l’alto livello di emissioni pro-capite non tiene conto della presenza di militari americani a Palau.
I cosiddetti Paesi del Golfo (Arabia Saudita e Paesi vicini) mostrano livelli di emissioni molto elevati (compresi tra 20 e 30 tonnellate di CO2 all’anno per abitante). Oltre allo stile di vita decisamente non “morigerato” dal punto di vista energetico (pensiamo, ad esempio, ad alcune stravaganti iniziative come la costruzione di piste da sci al coperto installate nel deserto), il dato dipende anche dalla forte presenza di impianti per l’estrazione e la lavorazione di petrolio e gas naturale che sono forti emettitori di gas serra.
Stati Uniti e Canada, con circa 15 tonnellate di CO2 all’anno per abitante, sono tra i più importanti emettitori di gas serra di origine fossile. La Cina – pur avendo registrato una continua e forte crescita delle emissioni nel corso degli ultimi anni – si attesta su un livello di emissioni di poco inferiore rispetto a 9 tonnellate di CO2 all’anno per abitante, un livello decisamente più elevato rispetto a quello europeo, ma ancora lontano rispetto a quello degli Stati Uniti.
Un caso interessante è quello della Russia le cui emissioni sono pari a circa 13 tonnellate di CO2 all’anno per abitante. Il valore è simile a quello degli Stati Uniti. Il rigido clima russo certamente non aiuta a ridurre le emissioni, ma il livello economico del Paese non è neppure lontanamente confrontabile con quello americano (il PIL pro-capite della Russia è circa uguale a quello della Grecia). Probabilmente il dato si spiega con un utilizzo molto inefficiente delle abbondanti riserve di combustibili fossili presenti in Russia.
Un altro dato interessante è quello dell’Australia. Il Paese è quello forse più favorito a livello mondiale per lo sfruttamento dell’energia fotovoltaica (senza contare le ingenti risorse minerarie di uranio che potrebbero alimentare una produzione di energia elettrica tramite centrali nucleari). Eppure le emissioni di CO2 di origine fossile dell’Australia sono confrontabili con quelle degli Stati Uniti, segno che – almeno fino ad oggi – l’Australia è ancora fortemente legata all’utilizzo del carbone e del gas naturale e non ha dedicato una particolare attenzione allo sviluppo di fonti di energia rinnovabili.
Accanto ai grandi emettitori di gas serra di origine fossile, ci sono decine di Paesi i cui livelli di emissione stazionano sotto al livello di 1 tonnellata di CO2 all’anno per abitante. Si tratta di Paesi poveri, localizzati nella maggior parte dei casi nel continente africano. Per questi Paesi c’è una evidente correlazione tra il basso livello di emissioni e la scarsa crescita economica.
Mentre nel ricco Occidente discutiamo dei provvedimenti da assumere per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici, molti dei Paesi a basse emissioni stanno già subendo gli effetti più drammatici del riscaldamento globale (aumento della siccità e delle alluvioni, desertificazione e conseguenti carestie). Tutto ciò innesca una spinta all’emigrazione in cerca di condizioni di vita almeno “decenti” che qualche politico “sovranista” si illude di risolvere chiudendo i confini.
Tra poche ore si aprirà in Egitto la conferenza sui cambiamenti climatici che – quest’anno – prende il nome di COP27. Probabilmente sarà la solita passerella di personaggi più o meno famosi che ci inonderanno con le consuete promesse intrise di retorica climatica. Temo che ci sarà anche chi – prendendo spunto dall’attuale crisi energetica – sosterrà che i problemi climatici non sono poi così gravi e che potremmo continuare ad usare i combustibili fossili ancora per un bel po’.
Comunque – come si dice – la speranza è l’ultima a morire.
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