Sono passati poco più di 3 anni dal primo caso di Covid-19 diagnosticato a Codogno e – fortunatamente – la pandemia è diventata per molti di noi solo un lontano e sfuocato ricordo. Ci sono ancora ricoveri in ospedale e decessi, ma si tratta di numeri relativamente piccoli, confrontabili con quelli di altre patologie respiratorie. Nel frattempo continua la ricerca su nuovi farmaci che possano proteggerci dal SARS-CoV-2 e da altri virus simili. Ci sono buone notizie anche su questo fronte, anche se i mezzi di informazione hanno smesso di dedicare a questo tema una particolare attenzione.
A poco più di 3 anni dalla prima diagnosi di Covid-19 fatta a Codogno, la situazione della pandemia è ormai ampiamente sotto controllo. Tutti gli indicatori si attestano su valori bassi, con una tendenza verso una ulteriore discesa (a parte quello relativo ai ricoveri che, nel corso dell’ultima settimana, è lievemente cresciuto, pur rimanendo su un valore assoluto molto vicino al minimo annuale).
Vediamo ora i principali indicatori pandemici partendo dal dato dei contagi:
Se limitassimo la nostra attenzione ai soli contagi potremmo concludere che la pandemia si stia avviando verso la fase di definitivo esaurimento. In realtà il dato dei contagi è pesantemente condizionato dal fatto che molti positivi con sintomi lievi non fanno il tampone (oppure fanno quello casalingo guardandosi bene dal segnalare la loro positività alle autorità sanitarie).
Come anticipato precedentemente, il dato relativo alla variazione del numero di posti letto occupati nei reparti Covid è un po’ meno ottimistico. Addirittura nel corso dell’ultima settimana abbiamo assistito ad un leggero aumento del numero di posti letto occupati:
Come si vede dal grafico mostrato sopra, la tendenza verso un aumento dell’occupazione di posti letto nei reparti Covid degli ospedali italiani era già evidente da alcune settimane. Per il momento il numero di posti letto occupati è ancora limitato a meno di 3.500 unità (un anno fa sfioravano quota 20.000) e soprattutto ci sono meno di 150 posti occupati nei reparti Covid di terapia intensiva (un anno fa erano 10 volte tanto). Si tratta quindi di numeri assolutamente non critici, che si dovranno comunque tenere sotto osservazione perché – come spiegato precedentemente – il dato sui contagi ormai è pressoché privo di significato.
Comunque, per quanto riguarda specificamente i nuovi ricoveri nei reparti Covid di terapia intensiva, l’indicatore mostra ancora una tendenza in discesa e questo è un fatto incoraggiante.
Vediamo infine il dato relativo ai decessi Covid che mostra un andamento calante. Ormai i valori sono scesi sui minimi degli ultimi 12 mesi:
Tre anni dopo Codogno, l’opinione pubblica non è più particolarmente interessata al tema della pandemia. Distratti dalla guerra in Ucraina e dall’inflazione galoppante, i cittadini hanno ormai derubricato la Covid-19 ad una storia del passato. I giornali che nella fase acuta della pandemia dedicavano ampio spazio alla ricerca di nuovi farmaci anti-Covid hanno smesso di dedicare spazio all’argomento.
Non è quindi sorprendente che, nell’indifferenza generale dei non addetti ai lavori – la prestigiosa rivista PNAS abbia pubblicato un articolo nel quale si annuncia un risultato che potrebbe rivelarsi determinante per la messa a punto di nuovi farmaci anti-Covid che abbiano una elevata efficacia indipendentemente dal ceppo virale considerato.
Fino ad oggi, i vaccini e la maggior parte dei farmaci (soprattutto anticorpi monoclonali) che sono stati sviluppati per combattere la Covid-19 hanno utilizzato come “bersaglio” la proteina spike del virus ed – in particolare – la parte terminale della proteina, quella che entra direttamente in contatto con i recettori ACE2 delle cellule che vengono infettate. In pratica, si è cercato di impedire che la proteina spike si legasse ai recettori ACE2.
Purtroppo la parte terminale della proteina spike è soggetta a continue mutazioni e questo rende difficile lo sviluppo di farmaci che abbiano la stessa efficacia con tutte le possibili varianti virali.
Il nuovo approccio segue una strategia diversa. In particolare, si tiene conto del fatto che il legame tra la punta della proteina spike ed i recettori ACE2 è solo il primo di una serie di passaggi. Subito dopo avviene un processo di piegamento che coinvolge una parte intermedia della proteina spike che – a differenza della parte terminale – è decisamente meno soggetta a variazioni legate alla comparsa di nuovi ceppi virali. La nuova famiglia di farmaci impedisce tale processo di piegamento e – anche se il virus si attacca ai recettori ACE2 – non riesce comunque ad infettare la cellula.
I risultati preliminari ottenuti in vitro e su modelli animali sono molto incoraggianti e dimostrano di essere sostanzialmente indipendenti rispetto al ceppo virale considerato. Se tali risultati saranno confermati dalla sperimentazione su volontari umani potrebbero aprire la strada allo sviluppo di una nuova famiglia di farmaci anti-Covid molto interessanti.
Non è detto che questi nuovi farmaci possano essere determinanti per contrastare la pandemia di SARS-CoV-2 (che – speriamo – andrà incontro ad un irreversibile e rapido declino), ma ciò che stiamo imparando potrebbe rivelarsi prezioso per combattere future pandemie che – prima o poi – appariranno.
Anche se l’opinione pubblica è ormai distratta da tanti altri problemi, la ricerca sulla Covid-19 va avanti.
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