La strategia (bislacca) del Governo italiano per salvaguardare le imprese del settore automobilistico

Partendo dalle giuste preoccupazioni per il futuro delle imprese che producono componenti per motori a combustione interna (si stima che siano coinvolti circa 200 mila lavoratori) il Governo italiano sta cercando di bloccare il passaggio all’auto elettrica proposto dalla Commissione Europea. La strategia italiana è basata su assunzioni molto discutibili e – nel medio-lungo periodo – rischia di infliggere un colpo mortale al settore automobilistico italiano.

Dopo che il gruppo a guida francese Stellantis ha assorbito la Fiat, la produzione di auto in Italia ha imboccato una strada difficilmente reversibile che la sta portando verso una posizione di marginalità. Quello che rimane ancora vivo (forse ancora per poco) è il settore della componentistica ovvero la produzione di parti di automobili che vengono vendute a diverse case costruttrici. Alcune aziende – come ad esempio quelle che producono interni di automobili – stanno andando piuttosto bene. Grazie alla combinazione di una accurata scelta dei materiali e del tipico design “Made in Italy” ci sono aziende italiane sconosciute al grande pubblico, ma che annoverano tra i loro clienti tutti i principali costruttori di auto europei. Lo stesso si può dire per altri componenti come, ad esempio, i freni di alta gamma che vedono in Brembo un leader riconosciuto a livello mondiale.

Non tutto il settore della componentistica gode di buona salute. Ad esempio, le aziende che si occupano della produzione di parti per motori diesel sono in crisi ormai da molti anni a causa degli effetti di quello che è noto come “Diesel-gate“. L’approccio spregiudicato dei costruttori tedeschi (ma non solo loro) che avevano truccato i dati sulle emissioni aggirando le norme sulla limitazione delle emissioni nocive ha inferto un colpo tremendo al settore, riducendo severamente le prospettive di mercato per il prossimo futuro.

In generale tutte le aziende che si occupano della produzione di componentistica per la costruzione di motori a combustione interna non se la passano troppo bene. Lo spauracchio per tutti è rappresentato dal passaggio all’auto elettrica, una tecnologia che utilizzerà un numero ridotto di componenti e – soprattutto – non userà più alcuni componenti che sono stati sviluppati specificamente per i motori a combustione interna.

Di fronte a questa prospettiva ci sono solo 2 alternative:

  1. Ignorare la tendenza tecnologica in atto, cercando di far sopravvivere le aziende il più a lungo possibile.
  2. Avviare sollecitamente un programma di riconversione industriale che cerchi di riutilizzare il know-how disponibile in altri settori e, contemporaneamente, favorisca lo sviluppo di quelle aziende che producono componenti per le future auto elettriche. Dovrà essere previsto anche un piano di protezione per i lavoratori più anziani che non potranno essere adeguatamente ricollocati.

“Tertium non datur” come dicevano i latini, ma evidentemente nel Governo italiano c’è chi la pensa diversamente.

In un suo intervento fatto oggi a Bruxelles, il Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha affermato “Per esempio non vediamo perché debba essere considerata solo l’elettricità. L’elettricità non è una religione, è una tecnologia come altre. Se i biocombustibili possono permetterci di raggiungere gli stessi obiettivi perché non usarli“.

Chiunque sappia fare un minimo di analisi dei dati (e qualcuno in grado di farla per conto del Ministro Urso ci dovrebbe essere) capisce che pensare di continuare a produrre mezzi di trasporto dotati di motori a combustione interna sostituendo i derivati del petrolio con bioconbustibili non ha alcun senso.

Infatti la produzione di biocombustibili non può che essere marginale rispetto alla attuale produzione di combustibili derivati dal petrolio, a meno di non rinunciare ad usare i terreni agricoli per la produzione di cibo. I terreni sono quelli che sono (anzi sono sempre di meno a causa dei fenomeno di urbanizzazione del territorio) e anche se riuscissimo a sfruttare al meglio i terreni abbandonati o poco produttivi non saremmo comunque in grado di produrre una quantità sufficiente di biocombustibili (a meno di non fare come ENI che spacciava come biocombustibile il diesel prodotto con l’olio di palma proveniente dalle piantagioni estensive che hanno devastato l’Indonesia).

Sarebbe già un grande successo se – a livello mondiale – riuscissimo a produrre abbastanza biocombustibili per soddisfare la richiesta proveniente dall’aviazione civile (settore nel quale il passaggio a sistemi di propulsione diversi da quelli attuali sembra ancora molto difficoltoso).

Proporre di usare i biocombustibili come un sostituto dei derivati del petrolio nei sistemi di trasporto terrestre o è frutto di disinformazione oppure è semplicemente una cinica presa per i fondelli dei cittadini elettori.

L’altro argomento che viene spesso avanzato per contrastare il passaggio ai veicoli a trazione elettrica è quello del costo elevato. Si tende a far passare la scelta elettrica come una tendenza della sinistra “radical chic” dimenticando che i costi dei veicoli elettrici sono destinati a diminuire (al netto dell’inflazione) nel corso dei prossimi anni, mentre l’evoluzione (ed i costi) dei motori a combustione interna non seguirà la stessa tendenza. Possiamo discutere se – a parità di prestazioni – il costo di un’auto elettrica scenderà sotto al livello di un’auto a combustione interna nel 2026 o nel 2030, ma la tendenza è quella.

Questo non significa che il passaggio all’auto elettrica sarà una passeggiata ed in questo passaggio l’Europa (se non accelererà i suoi investimenti) rischia di essere sorpassata dai produttori asiatici (non solo cinesi) che su questo settore stanno investendo con grande decisione da molti anni.

Quale è la prospettiva che vogliamo perseguire? Pensiamo davvero di trasformare l’Europa in una specie di “Vandea tecnologica” arroccata ai vecchi motori a combustione interna, mentre il resto del Mondo si sta spostando verso l’elettrico? Non capiamo che comunque il mercato per i produttori di componenti per i motori a combustione interna è destinato inesorabilmente ad esaurirsi, così come a suo tempo si è esaurito quello dei produttori di locomotive a vapore e di dirigibili?

Invece di sostenere battaglie di retroguardia, il Governo italiano farebbe meglio a chiedere il sostegno europeo per sviluppare un adeguato piano di riconversione di quei settori industriali che pagheranno il prezzo più caro del passaggio all’auto elettrica. Senza dimenticare che alcune tecnologie possono trovare nuovi sbocchi in mercati alternativi ad alto valore aggiunto (si pensi – ad esempio – all’utilizzo aerospaziale di alcuni materiali utilizzati per le guarnizioni automobilistiche di alta gamma).

Faccio un esempio concreto di riconversione tecnologica: qualcuno potrebbe ingenuamente credere che con l’abbandono dei motori a combustione interna non ci sarà più alcun bisogno di sistemi per la dissipazione del calore. In realtà non è così perché anche i sistemi di alimentazione delle auto elettriche producono notevoli quantità di calore che deve essere dissipato, mentre le batterie al litio funzionano bene solo se la loro temperatura viene mantenuta entro un intervallo di temperature abbastanza ristretto. C’è quindi bisogno di riscaldarle al momento dell’avvio durante la stagione invernale e bisogna evitare che si surriscaldino in estate. Ovviamente i sistemi di condizionamento della temperatura che si devono installare su un’auto elettrica saranno molto diversi rispetto a quelli che usiamo nelle attuali auto a combustione interna, ma le aziende che possiedono competenze tecniche adeguate possono rapidamente adeguarsi alle nuove esigenze del mercato.

C’è da dire infine che – per fortuna – l’Italia possiede anche aziende che sono state capaci di anticipare i tempi e che oggi hanno una posizione di tutto rispetto a livello internazionale nella produzione di componenti per auto elettriche. Un caso significativo è quello di Euro Group, una società basata a Baranzate (MI), da poco quotata alla Borsa di Milano. La società produce lamierini magnetici tranciati che sono una parte essenziale per la costruzione di motori e generatori elettrici ed ha clienti in tutto il Mondo.

In conclusione, siamo tutti d’accordo sul fatto che bisogna garantire adeguate salvaguardie sociali ai lavoratori delle aziende di componentistica (così come dovremmo sostenere anche i lavoratori dell’edilizia che rischiano il posto di lavoro dopo l’improvviso taglio degli sconti fiscali in fattura). Fatta questa doverosa premessa, è decisamente meglio – a mio parere – evitare battaglie di retroguardia. Cerchiamo invece di recuperare il tempo perduto, investendo sulle tecnologie del futuro.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.