I carburanti di origine biologica (bio-fuel) e i carburanti ottenuti per sintesi diretta di idrogeno e anidride carbonica (e-fuel) sono talvolta presentati come un’alternativa alla transizione elettrica. Utilizzando questi carburanti si ridurrebbe drasticamente l’impronta carbonica degli attuali motori a combustione interna, rendendo meno urgente – se non addirittura inutile – il passaggio all’auto elettrica. La proposta è oggetto di vivaci discussioni, ma alcuni ritengono che più che di una vera e propria alternativa si tratti soprattutto di un diversivo, inventato dalla lobby dei motori a combustione interna per ritardare il passaggio all’auto elettrica.
Proprio in queste ore il Governo tedesco tra trattando con la Commissione Europea per ottenere una deroga al divieto di immatricolazione di nuove auto dotate di motore a combustione interna. Il compromesso di cui si sta discutendo prevederebbe la possibilità di continuare a produrre auto di tipo tradizionale, purché siano alimentate con i cosiddetti e-fuel in alternativa ai combustibili derivati dal petrolio.
Oggi esistono già combustibili per auto ad “emissioni zero“. Si tratta dei cosiddetti bio-combustibili (bio-fuel in inglese) che sono realizzati partendo da oli vegetali, cereali od altri prodotti agricoli. In realtà, a meno di non decidere di ridurre alla fame una parte consistente dell’Umanità, non c’è alcuna possibilità di produrre quantità di bio-combustibili sufficienti per sostituire i combustibili di origine petrolifera.
Proporre di utilizzare bio-combustibili usando prodotti agricoli che sono ottenuti devastando estesi territori dei Paesi meno sviluppati (come faceva ENI fino a poco tempo fa quando produceva bio-diesel partendo dall’olio di palma proveniente dalle piantagioni indonesiane) è una forma perversa di greenwashing.
Oggi i bio-combustibili possono avere senso solo se applicati a realtà circoscritte. Ad esempio, si può pensare di usare il bio-metano prodotto dai prodotti di scarto di una impresa agricola per alimentare i mezzi usati per la lavorazione della terra. Un altro esempio interessante è quello del bio-metano prodotto dagli impianti di compostaggio del cosiddetto umido che viene fornito ad un certo numero di autobus impiegati per il trasporto pubblico del Trentino. Ma si tratta comunque di interventi circoscritti che hanno un effetto trascurabile sulle emissioni complessive di anidride carbonica.
Sarebbe già un enorme successo se si producessero abbastanza bio-combustibili per coprire le esigenze di settori dove la transizione elettrica non è ancora possibile (ad esempio, nel trasporto aereo), ma nessuna persona di buon senso può credere che i bio-carburanti possano diventare una reale alternativa rispetto ai combustibili di origine fossile.
Gli e-fuel, ovvero i carburanti di sintesi, talvolta sono confusi con i bio-fuel, ma in realtà sono una cosa completamente diversa. Il termine e-fuel indica i carburanti ottenuti sintetizzando molecole organiche partendo da idrogeno ed anidride carbonica.
L’anidride carbonica può essere estratta dall’atmosfera, mentre l’idrogeno deve essere generato per elettrolisi dell’acqua, usando sorgenti di energia elettrica rinnovabile. In tal modo si potrebbero produrre combustibili neutrali dal punto di vista delle emissioni carboniche, utilizzabili per alimentare gli attuali motori a combustione interna senza bisogno di particolari modifiche.
La domanda che sorge spontanea è la seguente: “gli e-fuel sono davvero una alternativa rispetto ai combustibili di origine fossile?”.
Benché gli e-fuel siano fortemente sostenuti dalla lobby dei produttori di motori a combustione interna, almeno per il momento rappresentano una soluzione di limitato impatto pratico. I costi di produzione attuali degli e-fuel sono esorbitanti ed anche se si può prevedere che in futuro caleranno, non sarà affatto banale raggiungere livelli effettivamente competitivi.
I costi elevati degli e-fuel derivano dal grande numero di passaggi che devono essere completati per arrivare alla loro sintesi. Gli elementi di partenza (acqua ed anidride carbonica presente nell’aria) sono praticamente gratuiti, ma la cattura dell’anidride carbonica e l’elettrolisi dell’acqua richiedono una grande quantità di energia (che lo ricordo deve provenire da sorgenti rinnovabili o almeno dal nucleare in modo da garantire che non provochi emissioni di CO2). A questo punto bisogna far reagire l’idrogeno con l’anidride carbonica in modo da produrre composti organici come – ad esempio – l’alcol etilico o molecole più complesse. Anche questi processi chimici assorbono energia che non necessariamente viene recuperata quando il combustibile viene utilizzato.
Dal punto di vista energetico, sarebbe meglio usare l’energia di origine rinnovabile alimentando direttamente un’auto elettrica oppure immagazzinare l’energia sotto forma di idrogeno e utilizzare mezzi elettrici dotati di celle a combustibile. Ogni passaggio ha un costo energetico che si aggiunge al ridotto rendimento dei motori a combustione interna, decisamente inferiore rispetto a quello dei motori elettrici.
L’elevato costo degli e-fuel non rappresenta l’unico limite di questi carburanti. Bisogna infatti ricordare che i motori a combustione interna hanno pessime caratteristiche dal punto di vista ambientale: le emissioni di ossidi di azoto, di polveri sottili e di altri inquinanti hanno un pesante impatto sulla qualità dell’aria delle nostre città. Ovviamente si possono limitare tali emissioni portando il livello dei motori ad Euro 7 ed oltre, ma questo ha costi sia di costruzione che di manutenzione molto elevati.
In conclusione, proporre i motori a combustione interna alimentati da e-fuel come un’alternativa all’auto elettrica sembra una ipotesi assai poco credibile, sia dal punto di vista ambientale che da quello economico.
Chi parla delle auto elettriche come di una soluzione “per ricchi“, dimentica di evidenziare che – tra 10 anni – il costo delle auto tradizionali alimentate da e-fuel potrebbe essere molto più alto.
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