Il termine permafrost indica lo strato di terreno permanentemente gelato che si trova alla profondità di qualche metro nelle zone caratterizzate dai climi più freddi (tipicamente ad alta quota o ad elevate latitudini). L’aumento delle temperature medie globali sta avendo un effetto significativo sulla presenza del permafrost, causando vari effetti sia di breve che di lungo periodo.
Un articolo apparso oggi sul quotidiano trentino ilT affronta il tema dei frequenti crolli che stanno avvenendo nelle nostre montagne. In mancanza di dati statistici certi, l’articolo mette giustamente in luce come sia impossibile trarre conclusioni pienamente fondate, ma cita il progressivo scioglimento del permafrost esistente ad alta quota come una delle possibili cause che potrebbero accelerare il fenomeno – sempre esistito – del crollo dei picchi alpini.
Il permafrost altro non è che acqua perennemente ghiacciata, spesso mescolata a residui di composti organici o a sassi ed altri materiali di piccola dimensione. Di fatto il permafrost si forma nelle fessure esistenti tra le rocce, svolgendo una sorta di funzione “legante“. La prolungata esposizione delle vette alpine ad elevate temperature estive può portare ad uno scioglimento del permafrost, accentuando la probabilità dei crolli ad alta quota. Oltre ad incidere più o meno pesantemente sul paesaggio, tali crolli possono essere la causa di gravi incidenti che talvolta colpiscono anche alpinisti molto esperti.
In taluni casi, sono già stati segnalati casi di rifugi alpini la cui stabilità è stata messa in pericolo dal progressivo scioglimento dello strato di permafrost sopra cui sono stati costruiti.
Quello dello scioglimento del permafrost ad alta quota è solo uno dei tanti effetti che il riscaldamento globale sta producendo nelle zone alpine, ma la parte del nostro pianeta dove il permafrost è più a rischio è quella localizzata alle latitudini più elevate.
In un articolo del 2006 due scienziati russi analizzavano il possibile impatto del riscaldamento globale sul permafrost presente sul territorio russo, stimando che circa il 60% del Paese fosse potenzialmente interessato da tali effetti. L’articolo è stato scritto quasi 20 anni fa e ciò che è accaduto da allora fino ad oggi ha ampiamente confermato le previsioni fatte dagli Autori. Basta farsi un giro in internet per vedere numerosi filmati dove si mostrano gli effetti dello scioglimento: i crolli di abitazioni e l’apertura di enormi voragini nel terreno sono fenomeni ormai abbastanza comuni nelle zone a latitudine più elevata della Russia.
Anche nei territori americani dell’Alaska si stanno osservando andamenti simili. Uno studio dell’EPA (Agenzia americana per la protezione dell’ambiente) mostra chiaramente che la temperatura del permafrost presente in diverse località dell’Alaska continua a crescere inesorabilmente dagli anni ’80 del secolo scorso fino ad oggi.
A parte i problemi di natura paesaggistica e all’instabilità provocata nelle (poche) costruzioni esistenti alle latitudini più elevate, lo scioglimento del permafrost ha anche un’altra grave conseguenza di natura climatica. Infatti il permafrost contiene materiali di natura organica che – una volta scongelati – si decompongono rapidamente liberando sia anidride carbonica che ingenti quantità di metano. L’emissione di questi gas si somma ai contributi di gas serra di origine direttamente antropica, contribuendo ad un ulteriore innalzamento delle temperature medie globali. C’è un rischio concreto che si inneschi quello che in fisica si chiama “feed-back positivo” (ovvero un processo che si autoalimenta diventando sempre più rilevante).
Dal punto di vista sanitario, sono stati messi in evidenza anche i pericoli connessi al fatto che lo scioglimento del permafrost possa rimettere in circolazione agenti patogeni intrappolati molti secoli fa e attualmente non più diffusi a livello ambientale. Senza arrivare a visioni di stampo distopico, la recente esperienza della pandemia da SARS-CoV-2 ci ha reso tutti più attenti ai rischi legati alla improvvisa diffusione di un agente patogeno sconosciuto.
Viene spontaneo domandarci: “possiamo fare qualcosa per scongiurare lo scioglimento del permafrost?”. Purtroppo la risposta è no!.
L’unica cosa da fare è evitare che si alzino le temperature medie globali, mentre non ci sono interventi che possano mitigare gli effetti del fenomeno a livello locale (a meno che – per tornare alle nostre montagne – non spunti qualche stravagante buontempone che proponga di coprire le vette alpine con teli riflettenti durante le calde giornate estive).
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