Meloni dichiara:”il piano Mattei non è una scatola chiusa!”. Infatti è una scatola vuota

Al termine del summit romano dedicato alle cooperazione tra Italia ed Africa c’è stata una pioggia di dichiarazioni entusiaste da parte del presidente Meloni e di alcuni suoi alleati di Governo. Purtroppo non è ancora chiaro quali siano gli obiettivi precisi del piano e soprattutto dove si troveranno le risorse necessarie per finanziarlo. Il premier Meloni ha dichiarato che saranno investiti 5 miliardi e mezzo di Euro, ma non si capisce su quanti anni sarà “spalmata” tale cifra, né da dove proverrà. Si è parlato della possibilità di usare parte dei fondi destinati allo sviluppo delle energie rinnovabili, ma sarebbe assurdo impiegare tali fondi per fare dell’Italia un hub delle importazioni di gas naturale provenienti dall’Africa. In estrema sintesi – aldilà della retorica meloniana – il piano Mattei era e rimane una scatola vuota.

Il summit romano dedicato alla cooperazione tra Italia ed Africa avrebbe dovuto fare chiarezza sugli obiettivi e sui finanziamenti del cosiddetto “piano Mattei“. Tale iniziativa è al centro del dibattito politico italiano ormai da molti mesi, ma nessuno è ancora riuscito a capire quali saranno esattamente i suoi contenuti.

Purtroppo la linea del premier Meloni è fortemente condizionata dagli interessi di ENI che al piano non ha dato solo il nome del suo fondatore, ma – secondo alcuni – lo ha addirittura scritto ispirandosi alla rete di rapporti commerciali che la legano a numerosi Paesi africani. Il ruolo di ENI è stato reso ancora più rilevante dalla recente crisi energetica quando – a fronte delle difficoltà legate all’importazione di gas naturale russo – si sono dovuti affannosamente ricercare fornitori alternativi.

In questo contesto nasce l’idea originale del piano Mattei come strumento destinato a stabilizzare i nostri rapporti commerciali con l’Africa, cercando di stabilire un partenariato di lungo periodo che possa ridurre i rischi legati alla forte volatilità dei mercati energetici internazionali. Si tratta di un’idea importante e condivisibile, ma non certamente tale da giustificare tutta l’enfasi che ha accompagnato la presentazione del piano.

La situazione è stata resa più complicata dai fallimentari risultati conseguiti fin qui dal governo Meloni nel contenimento dei flussi migratori provenienti dall’Africa. Il disastro di Cutro, i proclami a vuoto relativi alla lotta agli scafisti ed il sostanziale sabotaggio delle attività svolte dalle ONG non sono serviti a limitare gli sbarchi che – nel corso dell’anno appena trascorso – sono aumentati del 50% rispetto all’anno precedente. Se Giorgia Meloni fosse ancora all’opposizione la troveremmo tutti i giorni davanti a Palazzo Chigi a protestare contro il Governo incapace di limitare gli sbarchi. Ma oggi al Governo c’è lei e quindi può protestare solo contro sé stessa.

Ecco allora che il piano Mattei subisce una profonda trasformazione ispirata dal concetto di “aiutiamoli a casa loro“. Noto che la nostra camaleontica premier è riuscita a passare con la massima disinvoltura dal blocco navale alla cooperazione allo sviluppo, ma si tratta comunque di una evoluzione che – a mio parere – è senz’altro apprezzabile.

Vasto programma” si sarebbe detto una volta perché certamente la ricerca di condizioni di vita migliore è un forte stimolo per l’emigrazione, ma se davvero volessimo dare un contributo concreto allo sviluppo economico e sociale dell’Africa servirebbero capitali ingenti, oltre ad una visibilità internazionale che l’Italia non ha. Rischiamo di fare come la rana della favola e scoppiare dopo esserci gonfiati oltre misura, pieni di “orgoglio italiano“.

Dal summit di Roma si è anche capito che l’idea del piano Mattei non è mai andata molto oltre ai ristretti confini nazionali e che il piano è stato propagandato senza avere prima fatto una adeguata campagna di ascolto e sensibilizzazione che coinvolgesse tutti i potenziali partner e le organizzazioni politiche del continente africano.

A questo punto ci sono – a mio avviso – 2 strade alternative:

  1. Si riporta il piano Mattei alla sua impostazione originale che aveva come obiettivo il potenziamento e la stabilizzazione a lungo termine dei rapporti di ENI con i suoi fornitori energetici africani. A questo punto ENI dovrebbe farsi carico dello sviluppo e del finanziamento del piano, mentre il Governo italiano dovrebbe limitarsi a fornire la copertura politica, esattamente come fanno altri Governi nazionali con le compagnie petrolifere basate nei loro Paesi.
  2. In alternativa, si cerca veramente di fare qualcosa di nuovo e originale sul tema dello sviluppo, ma allora bisogna lavorare sia sulla dimensione del piano che sui suoi obiettivi. Per quanto riguarda la dimensione non si può pensare a qualcosa di nazionale, ma bisogna operare a livello europeo. Gli altri attori internazionali già presenti in Africa sono colossi come gli Stati Uniti, la Russia o la Cina. Altri Paesi si stanno affacciando come l’India e – limitatamente al Nord-Africa – non va sottovaluto il ruolo della Turchia. L’Italia da sola non ce la può fare: non ha la rilevanza internazionale, le risorse economiche e neppure quelle militari necessarie per raggiungere un livello di massa critica. Quanto agli obiettivi da perseguire, non darei la priorità al settore dei combustibili fossili, oggi importantissimo, ma destinato progressivamente a perdere di rilevanza strategica. Ci sono – ad esempio – proposte interessanti che riguardano le enormi potenzialità legate allo sviluppo delle energie rinnovabili, ma si potrebbero individuare tanti altri settori (a cominciare dall’agricoltura e dal turismo) nei quali l’Italia possiede approfondite competenze.

Nei prossimi mesi vedremo quale sarà l’evoluzione del piano Mattei. In particolare sarà interessante capire se acquisterà consistenza oppure se sarà usato solo come cortina fumogena per coprire il fallimento delle politiche migratorie. La campagna elettorale per le ormai imminenti elezioni europee è iniziata ed il Governo – a corto di risultati pratici su molti fronti – farà del suo meglio per continuare ad alimentare le speranze dei suoi sostenitori.

Se tutto si riducesse ad una mera operazione a vantaggio di ENI e della propaganda governativa sarebbe comunque una occasione sprecata per l’Italia. C’è quindi da sperare che il Governo si chiarisca le idee e dimostri la capacità di far partire un processo condiviso a livello europeo. Solo avviando una nuova stagione di cooperazione tra Europa ed Africa si possono superare le reciproche diffidenze e le distorsioni del passato, aprendo prospettive nuove per tutti.

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