Molti anni fa volevamo diventare “eccellenti”, poi siamo diventati “innovatori” ed oggi ci accontentiamo di essere “sostenibili”

Il linguaggio muta continuamente e – esattamente come gli abiti – è soggetto alle mode. Ci sono parole che improvvisamente diventano comunissime e poi – altrettanto rapidamente – scompaiono. Alla fine del secolo scorso tutte le istituzione pubbliche e private ambivano a diventare “eccellenti”. Poi la moda dell’eccellenza è passata ed è stata sostituita dal mito dell’innovazione. Oggi anche l’innovazione è pressoché dimenticata e tutti anelano a diventare “sostenibili”. Se sia vera sostenibilità o puro greenwashing è tutto da vedere.

Le parole sono soggette alle mode, esattamente come succede per gli abiti. Ci sono parole che improvvisamente diventano molto popolari: le ascoltiamo sulla bocca di tutti, talvolta ripetute fino allo sfinimento. Poi improvvisamente – esattamente come erano arrivate – finiscono nel dimenticatoio e vengono sostituite da altre.

Facciamo un semplice esempio. Supponiamo di chiedere ai vertici di una istituzione pubblica o privata di descrivere con una sola parola quale sia l’obiettivo principale che si prefiggono di raggiungere. Alla fine del secolo scorso quasi certamente ci saremmo sentiti rispondere: “eccellenza”.

Ricordo il discorso fatto tanti anni fa dal manager del Centro di ricerca di una grande azienda automobilistica (non particolarmente famosa per la qualità dei suoi prodotti) che nel giro di mezz’ora riuscì a ripetere la parola “eccellenza” almeno una trentina di volte. Quel discorso fu per me memorabile non certo per i suoi evanescenti contenuti (completamente dimenticati) quanto piuttosto per l’ossessivo richiamo all’eccellenza.

Purtroppo l’eccellenza non è di per sé un valore assoluto: siamo eccellenti solo se riusciamo ad ottenere risultati molto migliori rispetto a quelli dei nostri competitori. Ne consegue che l’eccellenza (quella vera e non quella auto proclamata) è solo per pochi.

Forse proprio a causa della impossibilità di essere tutti eccellenti ad un certo punto la moda dell’eccellenza passò. Nacque così quella che potremmo definire l’età dell’innovazione. Politici, manager (e professori universitari) ci hanno bombardato con l’idea che “dobbiamo essere più innovativi”.

La carenza di innovazione era considerata come la causa di tutti i mali italiani. In taluni casi potrebbe essere anche vero perché la nostra società è caratterizzata da una elevata “viscosità” che spesso ci impedisce di perseguire vie nuove. Non a caso siamo il Paese del: “Chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quel che lascia, e non sa quel che trova !”.

Ma è anche vero che non sempre innovazione significa progresso. Ci sono un sacco di idee stupide che nessuno ha mai avuto prima di noi. Attuare una di queste idee stupide è pur sempre innovazione, ma non si tratta necessariamente di una operazione utile e intelligente.

Dopo anni spesi ad innovare, oggi è il tempo della sostenibilità. La crisi climatica ormai conclamata ha attirato l’attenzione di tutti sui problemi del riscaldamento globale e sulla necessità di attuare misure concrete per limitarne i danni. Da qui segue la necessità che tutti, sia a livello individuale che di istituzioni pubbliche e private, operino attivamente per limitare le emissioni. In altre parole tutti dobbiamo diventare più sostenibili (un qualche progresso rispetto all’eccellenza che era solo per pochi lo abbiamo fatto!).

Ecco allora che la parola sostenibilità incomincia a diffondersi con una crescita esponenziale. Addirittura le aziende hanno ormai la possibilità di far certificare il loro livello di sostenibilità secondo i criteri ESG acronimo che si riferisce alla sostenibilità declinata secondo molteplici aspetti (ambientale, sociale e nella gestione aziendale).

Oggi siamo nel pieno dell’età della sostenibilità. Potrebbe essere un segnale positivo, indice di una maggiore sensibilità rispetto alle tematiche ambientali e climatiche. Questo ci fa sperare che i Governi siano spinti ad intraprendere politiche più coraggiose per migliorare la qualità dell’ambiente e per combattere la crisi climatica.

Tuttavia c’è anche il timore che molti proclami di sostenibilità possano essere l’effimera risposta alla moda del momento e che – solo in minima parte – possano tradursi in azioni concrete. Il rischio del greenwashing è sempre in agguato!

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