Il vano tentativo del Governo Meloni di difendere una “eccellenza automobilistica italiana” che ormai non c’è più

Un articolo pubblicato dalla giornalista economica Lisa Jucca fa una analisi delle politiche attuate dal Governo Meloni in campo automobilistico. Recentemente il Governo italiano ha ipotizzato di investire nel gruppo automobilistico Stellantis, sperando che questo basti per invertire la linea di tendenza che vede un progressivo declino della produzione automobilistica italiana. Non si vede come il Governo italiano possa trovare i capitali necessari per investire in Stellantis proprio nel momento in cui è costretto a fare cassa vendendo quote di società pubbliche. In realtà l’Italia è ormai un mercato sempre più marginale per Stellantis e non è in grado di attrarre i futuri investimenti di Stellantis o di altre aziende automobilistiche.

L’articolo di Lisa Jucca fa un’analisi impietosa delle politiche attuate dal Governo Meloni in campo automobilistico e della “battaglia di retroguardia” che sta conducendo per convincere Stellantis a mantenere (o addirittura aumentare) la produzione di auto in Italia. In realtà quasi tutti gli stabilimenti Stellantis in Italia sono sottoutilizzati e sono impegnati nella produzione di vecchi modelli dotati di motore a combustione interna. I nuovi investimenti di Stellantis vengono fatti altrove.

Avviso pubblicitario di Stellantis per informarci del cambio di nome del vecchio modello di Panda dotato di motore a combustione interna che d’ora in avanti si chiamerà Pandina

Un caso emblematico è quello della nuova Panda, erede di un modello “mitico” della FIAT. Una versione completamente rinnovata e dotata di trazione elettrica uscirà tra pochi mesi dagli stabilimenti serbi di Stellantis, mentre in Italia rimarrà ancora per qualche tempo la produzione della Pandina (vecchio modello alimentato a benzina a cui è stato cambiato il nome per distinguerlo rispetto alla nuova Panda elettrica prodotta all’estero). Si tratta di una scelta che pone pesanti ipoteche sul futuro degli stabilimenti italiani, destinati a seguire un declino pressoché inesorabile (con buona pace dei sovranisti italiani che di fronte alla notizia hanno fatto “buon viso a cattivo gioco“).

Quando alla fine del 2020 la famiglia Agnelli approvò la fusione di Fiat Chrysler Automobiles in Stellantis l’Italia perse definitivamente la possibilità di svolgere un ruolo da protagonista nel mercato automobilistico internazionale. La scelta della famiglia Agnelli non fu un fulmine a ciel sereno, ma solo la presa d’atto di un processo di progressiva marginalizzazione del vecchio gruppo FIAT che neppure il genio imprenditoriale di Sergio Marchionne era riuscito ad invertire.

Il mercato automobilistico mondiale è sempre più competitivo, con la crescente concorrenza dei produttori asiatici e gli enormi investimenti che sono richiesti per sostenere la transizione verso l’auto elettrica. Alcuni economisti hanno ipotizzato che entro una ventina d’anni sparirà la maggior parte dei costruttori d’auto storici e che il mercato sarà quasi integralmente controllato dai costruttori d’auto “nativi elettrici“.

Non sappiamo se le cose andranno effettivamente così. Almeno per il momento osserviamo che c’è stata una progressiva aggregazione della gran parte dei marchi automobilistici europei. A parte casi di nicchia come l’italiana Ferrari, sopravvivono solo i gruppi di grandissima dimensione. Per contenere i costi, oggi si producono molti modelli di auto che vengono venduti con marchi diversi, ma che in realtà sono costruiti utilizzando una identica piattaforma. Le uniche differenze riguardano aspetti esterni come la carrozzeria e la dotazione di accessori.

Stellantis è uno dei grandi gruppi nati dall’aggregazione di marchi storici francesi, italiani, tedeschi ed americani. Le sue scelte sono condizionate da fattori di mercato e non dal nazionalismo francese come sembra ritenere il Governo Meloni. Gli investimenti si fanno dove ci sono le condizioni più favorevoli e se queste non ci sono i capitali vanno altrove. Ciò è esattamente quello che sta accadendo in Italia.

Un recente articolo pubblicato da Milano Finanza dimostra che le affermazioni del governo italiano secondo cui Stellantis privilegerebbe la produzione degli stabilimenti a scapito dell’Italia sono false. Dal momento della costituzione di Stellantis, il calo della sua produzione francese (dati Standard & Poors) è stato percentualmente più alto (-40%) rispetto a quello registrato in Italia (-8%). La produzione si è spostata verso la Spagna, i Paesi dell’Est Europa (Polonia e Serbia) ed il Nord Africa (in particolare il Marocco). Sono preferiti gli stabilimenti più moderni (ad alto tasso di automatizzazione) collocati nei Paesi dove il costo della manodopera è più basso.

L’unica differenza tra Francia e Italia è che la Francia – pur in presenza di un calo significativo della produzione complessiva – ospita molte delle nuove iniziative di Stellantis legate allo sviluppo dei nuovi veicoli elettrici (sia a batteria che ad idrogeno). In Italia invece lo sviluppo e la produzione di veicoli elettrici è ridotta al minimo (anche perché il mercato locale non li richiede).

A medio-lungo termine possiamo dire che la Francia ha comunque delle prospettive interessanti davanti a sé, mentre per gli stabilimenti italiani di Stellantis si prospetta un inesorabile declino legato alla progressiva perdita di importanza dei motori a combustione interna ed alla concorrenza degli stabilimenti low-cost collocati al di fuori dell’Unione Europea.

Investire oggi nel mercato automobilistico significa sviluppare la trazione elettrica operando a vari livelli (batterie, elettronica automotive, software dedicato alla guida, sviluppo di nuovi modelli d’auto). Il Governo Meloni si è fin qui distinto per una feroce polemica contro le auto elettriche e francamente non si capisce cosa potrebbe convincere un finanziatore internazionale ad investire nell’auto elettrica proprio in Italia (temo che non la farebbe neppure Elon Musk pur essendo un grande amico del nostro premier)

I pochi modelli di auto elettriche che escono dalle fabbriche italiane di Stellantis sono costruiti su piattaforme sviluppate in Francia che vengono “vestite” con le carrozzerie di alcuni marchi “Made in Italy“.

Gli strateghi di Palazzo Chigi sembrano convinti che si possa contrastare questa tendenza continuando ad usare motori a combustione interna (su cui – a livello internazionale – non investe più nessuno) grazie all’uso dei cosiddetti biocarburanti. Purtroppo quella dei biocarburanti è una bufala colossale alimentata da ENI. In Europa sarà già un enorme successo se riusciremo a produrre biocarburanti a sufficienza per sostenere i consumi di alcuni mercati di difficile de-carbonizzazione (ad esempio, il trasporto aereo), ma non c’è alcuna concreta possibilità di produrre abbastanza biocarburanti per alimentare le auto. Insistere su questa linea ci fa perdere solo tempo e toglie futuro alle aziende italiane.

Se il Governo italiano volesse effettivamente invertire la tendenza (che è in atto ormai da molti anni, ben prima che il premier Meloni arrivasse a Palazzo Chigi) dovrebbe partire – a mio avviso – da una rigorosa analisi della situazione industriale, abbandonando la retorica patriottarda dell’eccellenza motoristica italiana che – ammesso che sia mai esistita – è comunque una storia del passato (Ferrari a parte che è una storia a sé).

Oggi l’Italia non ha una attività di ricerca e sviluppo di livello e dimensioni adeguate per accompagnare lo sviluppo di nuovi veicoli a trazione elettrica (sia a batteria che ad idrogeno). Ci sono tante attività disperse, ma manca una regia così come mancano investimenti adeguati.

Manca anche il sostegno pubblico alla nascita di grandi progetti industriali come – ad esempio – quelli legati alle grandi fabbriche di batterie elettriche. Inoltre andrebbe fatta una operazione di riconversione che accompagni l’importante settore della componentistica automobilistica nella transizione dall’auto dotata di motore a combustione interna verso l’auto elettrica.

Qualcuno potrebbe obiettare che comunque il costo del lavoro in Italia sia troppo alto per poter competere sul mercato internazionale. Questo è un fattore certamente importante, ma la produttività (prodotto per unità di spesa) conta più che del semplice costo del lavoro.

Quello della bassa produttività è un problema ben noto del sistema industriale italiano e va ben aldilà del caso Stellantis. Ci sono varie azioni che il Governo potrebbe fare per migliorare la produttività del sistema Italia, a partire da un maggiore sostegno all’automazione dei processi industriali. Alcuni anni fa il Governo italiano intraprese un programma di sostegno allo sviluppo tecnologico delle aziende italiane noto come “Industria 4.0. Il programma ebbe un vasto successo, ma poi venne abbandonato. Forse sarebbe il caso di ripensarci e di usare le risorse disponibili (inclusi i fondi non utilizzati del PNRR) per modernizzare le imprese italiane.

Ricerca, investimenti in grandi progetti per la transizione energetica, sostegno all’automazione e riconversione del settore della componentistica sono i pilastri su cui costruire un ecosistema in grado di attrarre nel nostro Paese i futuri investimenti del settore automobilistico.

Se il Governo Meloni ha qualche miliardo di Euro a disposizione invece di regalarli alla famiglia Agnelli per acquistare una inutile quota di minoranza in Stellantis farebbe meglio ad utilizzarli per attivare un grande progetto di rilancio industriale del settore automobilistico italiano in grado di agevolare la transizione verso i mezzi elettrici.

Se l’Italia vuole avere un futuro nella produzione di auto deve usare il meglio delle sue intelligenze e capacità manageriali. Ce la possiamo fare, ma dobbiamo abbandonare le battaglie di retroguardia e le retoriche patriottarde, guardando in faccia la realtà.

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